Di Giovanni Di Domenico
Esattamente un anno fa, il 3 marzo 2020, andò in scena Salernitana-Venezia. La gara terminò sul risultato di 2-0, grazie al rigore di Kiyine e all’incornata vincente di Karo, servito perfettamente da Cerci, in quella che fu forse l’unica prestazione degna di nota dell’esterno di Velletri con la maglia granata. A metterci lo zampino fu anche Alessandro Micai, che parò un penalty all’attaccante ospite Longo. Nessuno si sarebbe aspettato che quella gara sarebbe stata l’ultima dell’Arechi a porte aperte. Nessuno si sarebbe aspettato che la pandemia da Covid-19 potesse incidere così tanto sul mondo del calcio e sul mondo del tifo, per non parlare degli altri settori, tutti in ginocchio a causa di questo maledetto virus, che ha costretto milioni di italiani a stare chiusi in casa per due mesi. Oggi, a distanza di un anno, gli stadi sono ancora chiusi, nonostante si verifichino numerosi assembramenti fuori dal rettangolo di gioco, volti ad incitare la squadra, come accaduto in occasione del derby di Milano e a Bergamo, prima della sfida di Champions League tra Atalanta e Real Madrid. Tutto molto bello, se non ci fosse una pandemia di mezzo. E’ emozionante vedere i tifosi incitare la propria squadra, ma a questo punto ci si chiede perché non possano essere riaperti gli stadi. La riapertura, infatti, consentirebbe un maggior distanziamento e un maggior controllo, con una riduzione significativa del rischio di contagio. Anche se, come tutti sappiamo, l’emozione, gli abbracci dopo i gol e durante i cori sono l’essenza stessa dello stadio. In ogni caso, siamo convinti del fatto che una riapertura, seppur parziale, potrebbe essere un primo grande passo verso la normalità.
A tal proposito, il Direttivo Salerno ha pubblicato una lunga nota, proprio per “celebrare” questo triste anniversario:
“Esattamente un anno fa, il 3 marzo 2020, si disputava in notturna all’Arechi la partita Salernitana Venezia. Eravamo in pochi e non solo per l’orario, per la sfiducia, dopo la sconfitta il 29 febbraio in trasferta a Frosinone, per il tempo uggioso. No, intorno a noi c’era già paura, quella paura di un virus sconosciuto che al Nord stava mietendo vittime e che si temeva potesse diffondersi anche da noi. Ma, nonostante un’atmosfera strana, eravamo lì a tifare, a sostenere la nostra amata, ignari che quei cori quello sventolio di bandiere, quegli abbracci tra fratelli, sarebbero stati per lungo tempo gli ultimi. Porte chiuse, campionati fermi e ripresa sottomessa al Dio denaro infischiandosene dei morti, di chi lottava per sopravvivere, anche economicamente. Noi del direttivo Salerno dichiarammo il campionato finito. Tutto era diventato secondario e decidemmo di convogliare le nostre forze verso chi aveva bisogno, verso il nostro ospedale e chi lottava in prima fila. Mai avremmo immaginato che tutto ciò sarebbe durato tanto e che questa pandemia modificasse le nostre vite, il nostro modo di essere ultras. Con questo virus hanno combattuto anche tanti tra di noi e non tutti purtroppo hanno vinto. Speriamo che, anche grazie ai vaccini, tutto possa tornare quanto prima alla normalità e quando tutto sarà finito di poter ritornare a modo nostro in curva, tutti insieme, vicini, con i nostri cori, i nostri fumogeni in una zona libera, come liberi sono gli ultras. Ed è per questo che combattiamo e combatteremo, perché tutti si sono accorti che il calcio senza pubblico, senza Ultras, senza la fantasia non è calcio, non ha una anima, non ha calore, è più freddo di un videogioco. Noi combatteremo affinché i nostri figli, i nostri nipoti, possano emozionarsi ed innamorarsi come NOI abbiamo fatto guardando la CURVA CHE CANTA. Noi senza stadio non sappiamo stare, ma lo stadio senza di NOI non ha senso. Il calcio è del popolo, di quella gente che fa sì che il calcio sia il gioco più bello del mondo non per quello che esprime sul terreno di gioco, ma per quello che è il vero spettacolo. LE CURVE, IL CUORE PULSANTE IL CALORE ED IL COLORE CHE NOI ESPRIMIAMO”.