di Vanni Vignes

Roma capoccia. Salernitana bersagliera. Venditti, a confronto delle ugole dei pisciaiuoli, sfigura come uno dei tanti cantanti in giro per la rete. Eh già. L’urlo della Sud, privato dei suoi “condottieri ultras”, è comunque tornato a ruggire in una fresca sera di fine estate. E quelle gradinate finalmente gremite di pathos, sofferenza e passione, hanno accolto le due squadre in campo. Come eserciti pronti a darsi battaglia, ognuno schierato nella propria trincea.

Fronte giallorosso. Tutto e tutti sembrano mostri sacri, già nel riscaldamento. Il fraseggio pregara impressiona e delimita il perimetro dell’incubo. Ma quanti ne prendiamo oggi? Domanda lecita, giusta, razionale. Ma noi dal cuore granata proviamo ad accartocciarla e la buttiamo nel cestino della consapevolezza.

Fronte granata. I novelli “Davide”, accolti dalla gente di Salerno che ha fatto file incredibili per accedere allo stadio, dribblando Covid, controlli e tornelli impazziti, sono pronti a sfidare “Golia”. E’ un sogno impossibile che ci tormenterà per tutti i 90 minuti di gioco. E pure dopo, lungo le vie del ritorno.

Nella nord ci sono gli ultras romanisti, bardati di tutto punto. Anche loro si fanno sentire, come da storiografia in materia. Ma ci siamo. Siamo oltre 16mila, il colpo d’occhio dell’Arechi è di quelli che emozionano anche quelli che sono incollati agli schermi tv da casa e nei tanti ritrovi in città.

Fischio d’inizio. Parte la sofferenza. E subito prende la forma della mortificazione delle carni. La Roma detta legge a centrocampo, la Salernitana prova a studiare l’avversario per ripartire veloce. Ma non è una recita a due, è un monologo giallorosso che caratterizzerà tutta la gara. Intanto Mourinho – indolente con le mani in tasca – lancia consigli ai suoi. Castori appare invece il solito indiavolato. Qualche sussulto lo regala Bonazzoli che prova l’impossibile, come Coulibaly, gli unici due a stoccare verso la porta giallorossa. Dall’altra parte, sotto la sud, Belec deve trasformarsi in Batman e volare da un palo all’altro in più d’una occasione. Intanto si alza il vento e con esso i cori dei romanisti, più organizzati di quelli spontanei salernitani.

E’ sofferenza ma abbastanza sopportabile quella che conduce all’intervallo. Uno 0-0 che regala momenti di speranza per il futuro prossimo, ignari di quello che sarà. Intanto buttando l’occhio qua e là, di steward, norme e protocolli sanitari nemmeno l’ombra. Siamo tutti “felicemente” ammassati, smascherati e concentrati unicamente sul rettangolo di gioco. Il virus, se c’è, ha paura di bussare.

Parte la ripresa ed è subito inferno. Pellegrini e Veretout, in sette minuti, decidono che l’ora della ricreazione è finita e la buttano dentro. Due schiaffi in piena faccia, con Mourinho in panca che trova anche il tempo per lamentarsi con arbitro e malasorte. I tifosi non la mollano, i calciatori granata forse si. Le gambe e la testa non sono più quelle del primo tempo. E la Roma diventa grande, quasi eterea. Non riusciamo a tenere palla per 30 secondi, siamo schiacciati su noi stessi e loro ne approfittano. Cantiamo ancora, per orgoglio e perchè se ti abbatti contro Golia, hai già perso ed è meglio che stai a casa a vedere un bel film. Qui la pellicola è di quelle per duri di stomaco, dunque fatti la croce e testa bassa. Arrivano – quasi in trance – anche il terzo ed il quarto schiaffo.

Doccia freddissima per i salernitani, che però continuano a cantare. Magico il momento quando dalle due curve si alza uno stupendo “Oh Agostino… Ago-Ago-Ago-Agostino gol”, sono lacrime dentro e applausi fuori. Che bello! Poi torniamo alla partita, con i suoi cambi e i suoi tre minuti di recupero tanto per assistere alla prima palla gol della Salernitana, nel rush finale. Triplice fischio. La Roma festeggia e Venditti se la canta. Noi applaudiamo i nostri “bersaglieri”, stavolta sconfitti. Ma la strada verso la luna è ancora molto lunga. Preparate il fegato.

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