di Vanni Vignes
L’epidemia di Covid-19 ha spazzato via – se per caso fosse ancora rimasto – l’ultimo grammo di cavalleria nel calcio italiano. Il “no al calcio moderno” dei gruppi ultras, in tal senso, è più che legittimo. Oltre alle patologie croniche che vive la sfera di cuoio, il virus ha aggiunto quella dose di cattiveria e di egoismo di cui proprio non si avvertiva la necessità. L’ultimo caso in ordine cronologico è la situazione sanitaria della Reggiana, la formazione che dovrebbe “incrociare” i tacchetti con la Salernitana nella giornata di sabato. La società emiliana è praticamente decimata e nel caso prendesse il volo per la Campania, dovrebbe salire a bordo dell’aereo con i pulcini o i ragazzi della Primavera. Una scena poco edificante a quel punto si materializzerebbe sul manto erboso dell’Arechi: una Salernitana quasi al completo contro un gruppetto di ragazzini. Vincere una partita così sarebbe elegante e onesto intellettualmente? Noi pensiamo di no. Eppure a Salerno c’è chi la pensa diversamente. Al momento, dalla società granata, non si è ascoltata alcuna voce che vada nella direzione di un rinvio della partita. Basterebbe davvero poco per tornare ad essere sportivi. Basterebbe ancor meno provare a superare tutti insieme la pandemia senza approfittarsi delle disgrazie altrui. Ma il gioco del calcio, quello di Carletto Mazzone a urlare in panchina, quello del presidente Costantino Rozzi in curva con i tifosi, quello di Boskov e Bagnoli, di Romeo Anconetani e Dino Viola, non esiste più. Il resto è solo – come diceva De Niro – chiacchiere e distintivo.