Dieci anni fa – il 13 gennaio 2012 – affondava al largo delle coste toscane una nave da crociera. Morirono 32 persone nel naufragio della Costa Concordia e l’allora capitano della nave – tale comandante Schettino – mostrò a tutti il suo “coraggio” abbandonando l’imbarcazione quando le operazioni di salvataggio dei passeggeri e dell’equipaggio erano ancora nelle fasi iniziali. Diventammo in quel momento la barzelletta del mondo intero per come era stata gestita quella situazione dove, lo insegnano i libri e la storia, il comandante è sempre l’ultimo ad abbandonare la nave che affonda.

La premessa – stridente lo so, ma era necessaria – è d’obbligo in queste ore. A Salerno stiamo assistendo ad un gioco al massacro, orchestrato – per fortuna dei salernitani – da una sparuta pattuglia di irriducibili nostalgici del recente passato granata, teso a delegittimare il lavoro e la figura umana e professionale di Walter Sabatini. Ho letto e sentito di tutto nei confronti del direttore sportivo della Salernitana, a margine del suo intervento in sala stampa dopo la gara interna col Sassuolo, allorquando si è autodenunciato quale unico responsabile della mancata vittoria e soprattutto del fatto di aver condotto un mercato di riparazione (ricordiamoci questo termine) non all’altezza di un’impresa come la permanenza in serie A.

E’ evidente che agli accusatori di Sabatini sfuggono tante, troppe cose. Quella più evidente è talmente logica che anche i non addetti ai lavori l’avrebbero recepita: Sabatini si assume ogni responsabilità non solo perchè ha gli “attributi” per farlo (a differenza di altre persone, nda) ma soprattutto per sottrarre il tecnico e la squadra dai riflettori – legittimi – delle critiche della stampa e dell’ambiente. Diventare il parafulmine di una squadra che sta vedendo ridursi drasticamente quel 7% di chance di restare in A, significa sacrificarsi personalmente come dovrebbe fare il capitano che non abbandona la nave.

E poi, ve lo ricordate il mercato di riparazione? Provate voi a convincere atleti – in forma o meno, svincolati o sotto contratto, a venire in una società che ha praticamente un piede e mezzo in serie B. E provate sempre voi a dover ricostruire ex novo una identità di squadra, mettendo una pezza – solo quella è possibile a gennaio – ad una non gestione e ad una non programmazione, messe in piedi con l’unico obiettivo reale: quello di riportare la Salernitana in cadetteria e provare a continuare a gestire a distanza “la figliastra”.

Come detto, le critiche all’operato di Sabatini, come dello stesso tecnico Nicola o anche del neo presidente Iervolino, ci stanno sempre, se sono costruttive e scevre di retro-pensieri (prodotto tipico di alcuni personaggi salernitani, nda), e finalizzate al bene della Salernitana. Ma oltre non è lecito andare. Etichettare Sabatini come “bollito” o altro significa essere in malafede o addirittura “sotto dettatura” da parte di qualche fantasma del passato. Poco male. Il direttore granata ha le spalle forti e lo spirito di un guerriero spartano. Sabatini è lì, al varco delle Termopili, insieme ai suoi “300” spartani pronti a dare la vita pur di salvare il sogno di una intera città. Se ci riuscirà lo sapremo solo stando vicini alla squadra ed al suo allenatore fino alla fine. Ma anche se così non fosse, tra molti anni, quando qualcuno scriverà un altro libro sulla storia di questa squadra e di questa tifoseria – entrambe pazze e passionali – un capitolo sarà dedicato al comandante Walter Sabatini ed alla sua eroica difesa di un sogno chiamato serie A. Fino alla fine, macte animo!

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