di Giuseppe Barbato
18° del primo tempo: la Salernitana ha appena segnato il raddoppio e ha la partita in mano. Ha capitalizzato alla perfezione le conclusioni nello specchio avute finora, con situazioni identiche: palla in verticale nel canale interno che il centravanti occupa approfittando di movimenti a liberare gli spazi e un possesso ragionato che crea la verticalizzazione. Il Sassuolo non riesce a trovare né la sua tipica costruzione da dietro né eventuali cambi gioco. La squadra di Dionisi è alle corde, col rischio di crollare come già fatto contro altre squadre in corsa per la salvezza. È proprio qui che la partita svolta, prende la direzione che ha mantenuto fino al triplice fischio di Ghersini. La Salernitana si arrocca dietro, non attua più una fase di pressing e soprattutto lascia il possesso ai nero-verdi.
Il concetto chiave per descrivere la situazione della Salernitana attuale è proprio quello del possesso palla. Prima di declinarlo su Dia e compagni, e alla partita di ieri, è fondamentale una premessa metodologica. Chi ha il pallone imprime il ritmo al match e costringe l’avversario ad adattarsi: è un concetto che Paulo Sousa ha spiegato tante volte nel corso della sua gestione. Il tecnico lusitano era preoccupato davanti all’idea di buttare via la palla, quando sotto pressione. Perché questa cosa portava la squadra a un dispendio di energie enormi. L’esempio più chiaro si è avuto nell’ultima partita della sua gestione, quando dopo mezz’ora la squadra era stritolata dai ritmi e il possesso tenuto dai brianzoli. La partita col Sassuolo ha mostrato la stessa cosa, con una dilazione dei tempi.
I due gol sono frutto di azioni nate da un palleggio intelligente. Fatte di movimenti e contro-movimenti che aprono il campo, momento in cui arriva la verticalizzazione e l’attaccante che attacca lo spazio libero. Azioni di qualità che mettono in luce anche le doti posizionali di Bohinen e Maggiore. Con un trio come quello visto ieri i pericoli sono ancora più alti, data la velocità dei tre attaccanti e la capacità di reggere l’impatto fisico delle difese avversarie. Dopo il raddoppio di Dia la Salernitana doveva continuare, attuando un blocco medio, gestendo l’ampiezza di campo e aggredendo l’avversario a metà campo per ripartire con metà spazio da coprire. La scelta di Inzaghi invece è completamente conservativa: blocco bassissimo, fasi di aggressione ridotta allo zero e copertura pura degli spazi centrali.
Nel quarto d’ora fino al gol di Thorsvedt, 18 minuti in realtà, la Salernitana dilapida tutto il capitale costruito e si consegna all’avversario. Il ritmo del giropalla del Sassuolo diventa insostenibile e la Salernitana arranca alla ricerca della sfera. La condizione atletica è da tempo sotto analisi, anche per via delle dichiarazioni di Inzaghi. Il mister vuole una squadra che corre, sottovalutando la differenza tra correre col pallone e correre senza. In questo modo si confondono le cause con l’effetto: la Salernitana non smette di giocare perché è stanca. La Salernitana smette di giocare quando si abbassa e rinuncia al pallone. Lascia che siano gli avversari a dettare il ritmo, quindi quanto la Salernitana deve correre per riprenderlo. La palla corre più veloce di te, come si dice perfino nei film: il Sassuolo ieri ha fatto correre la palla fino ai 37km/h.
Questi scompensi spiegano anche i cambi adottati da Inzaghi: rinforzare la fase difensiva, ridurre gli scompensi e avere una squadra più compatta. Tchaouna non ha quei compiti difensivi, Bohinen ha doti diverse dal combattimento duro e puro. In questo modo la squadra si abbassa ancora di più e lascia ancora più campo agli avversari che nel secondo tempo possono dilagare in avanti. Le situazioni offensive sono sporadiche e non portano a conclusioni vere: nell’ultima mezz’ora solo due tiri respinti di Dia e Martegani, niente. L’atto finale è l’ingresso di Simy: il nigeriano, nonostante l’altezza, non è assolutamente in grado di fare da riferimento offensivo. Non ha tecnica necessaria, non ha fisicità, non sa fare movimenti per venire incontro. Il pallone lisciato in area su un’incursione di Łęgowski è perdonabile, nonostante l’importanza che poteva ricoprire nell’economia del match. Manca tutto il resto, quello che serve al resto dei compagni.
Il punto di ieri è decisamente guadagnato: la Salernitana, per quello che non ha fatto dal 18° in poi, avrebbe meritato la sconfitta e deve ringraziare solo la straordinaria verve di Memo Ochoa tornato in versione fenomeno. Non è escluso che con la parata su Castillejo vinca, per la terza settimana di fila, il premio dato da SportMediaset per la miglior parata. Peccato che con questi premi non si ottenga la salvezza. Si ottiene prendendo possesso del pallone, tenendolo e gestendolo a prescindere dal risultato. Col pallone si segnano i gol e col pallone si difende meglio: senza si corre tanto, si corre spesso a vuoto e soprattutto si lascia che sia l’avversario a decidere del tuo destino. Inzaghi continua a non capirlo, a non fare tesoro delle esperienze precedenti in A, e persevera in una mentalità che potrebbe costare la B.
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