di Giuseppe Barbato

La partita contro il Torino di Juric mantiene aperti tutti gli interrogativi su Davide Nicola e le sue scelte tattiche. Cosa succede alla Salernitana? Come mai l’atteggiamento della squadra è così remissivo? È bastato l’ingresso di Piątek per dare un ordine? A questo punto bisogna riavvolgere il nastro e scorrere i 90 minuti, divisi tra primo e secondo tempo.

45 minuti allo sbando

Il mantra di Nicola lo sappiamo: la Salernitana deve essere aggressiva e interpretare così entrambe le casi. Andare sullo spazio e sull’uomo con grande ferocia per vincere i duelli a tutto campo. Contro il Milan la squadra aveva pagato il baricentro molto alto e la profondità concessa agli attaccanti rossoneri, nonché gli spazi dentro il campo liberi per Tonali e Brahim Diaz. Il Torino è una squadra che costruisce con le catene esterne (braccetto, esterno, trequartista) per poi da qui creare i movimenti offensivi. Tuttavia nel corso della stagione l’ha portato a essere piuttosto sterile, soprattutto contro squadre a difesa schierata. A prescindere dal loro valore perché sia Juventus sia Verona sono state brave a lasciare pochi spazi ai giocatori di Juric.

Giocare un pochino più bassi, lasciare la prima impostazione nella propria metà campo per poi schermare la metà campo e vincere i duelli 1 vs 1. Questo è il piano di partenza della Salernitana, peccato che salta nel giro di pochi minuti. In fase di costruzione il Torino trasforma il suo 343 alternando anche 433 a 4231. In questi casi Schuurs si alzava sulla linea dei mediani senza però essere coinvolto nel gioco, importava solo che fosse in quella posizione.

Sulla carta ciò favoriva Dia e Bonazzoli, che potevano orientare il pressing sui braccetti e infatti le uniche azioni del primo tempo nascono da situazioni in cui Bonazzoli attaccando Buongiorno ha potuto creare la transizione. Nei fatti il Torino manteneva comunque la superiorità dietro (2+1, il portiere) e la creava automaticamente nelle altre zone di campo. Nella zona centrale si creava un tre contro due, con Nicolussi e Vilhena contro la mediana torinista, e nella trequarti, quando il Torino saltava due linee di pressione, c’era un 4 vs. 3 costante con i tre centrali contro i tre attaccanti del Torino più Lukic. Sulle corsie esterne la situazione era drammatica perché Bradaric era troppo chiuso dentro il campo, dando tutta la fascia libera a Lazaro, e Vojvoda si muoveva tanto dentro il campo mantenendo sempre la pressione, creando ulteriori difficoltà a Candreva.

L’occupazione dei mezzi spazi

Ciò che ha fatto la differenza nel primo tempo è stata l’occupazione degli half-spaces (o mezzi spazi, volendo tradurli in italiano). Il cosiddetto ‘gioco tra le linee’ non è solo quello tra i reparti, cioè per esempio tra difesa e centrocampo. È quello anche tra le linee in orizzontale del campo viene diviso in cinque aree: gli spazi, i due laterali e quello centrale, e i mezzi-spazi, quelli che si pongono tra di essi.

Sia con la costruzione affidata ai tre centrali sia ai soli braccetti più il portiere di copertura periodicamente uno dei due centrocampisti del Toro andava a occupare il mezzo spazio, abbassandosi tra le linee granata e attirando il pressing che però era lento; i quinti non accompagnavano perché Lazaro e Vojvoda erano già alti. Il Torino così superava sempre la prima linea di pressione e si garantiva sempre tre linee di passaggio: una sull’esterno, con ulteriore altro mezzo-spazio più avanti da attaccare con diversi giocatori (perfino col braccetto che si sganciava), una più in verticale con Sanabria che attirava Daniliuc e la terza col cambio gioco, soprattutto a sinistra, sempre facile da eseguire. In caso di palla persa dal Torino tanti uomini erano vicini per non dare la ripartenza facile, appena scattava il lancio lungo si aggrediva subito la seconda palla. La Salernitana era completamente schiacciata.

In questo limbo restava travolto Bohinen. Il mister ha chiesto continuamente al norvegese di giocare vicino Daniliuc, come posizione, e di lavorare sugli spazi liberi per non lasciare che i giocatori del Torino li occupassero. Due compiti di schermo che col passare dei minuti diventava sempre più difficile assolvere: non poteva essere ovunque e la velocità d’inserimento degli avversari lo portava a rincorse affannose. Il coinvolgimento pressoché nullo in fase di possesso completava l’opera. Un giocatore di letture e possesso obbligato a fare i compiti che normalmente assolvono Lassana e Radovanovic. La sostituzione al 45° inevitabile.

La ripresa: appoggiarsi a Piątek per dare verticalità

L’ingresso del polacco si è reso necessario non solo per garantirsi un’uscita palla, la costruzione da dietro era impossibile e di testa né Dia né Bonazzoli avevano fatto quel lavoro. Era anche obbligatorio una soluzione che potesse togliere respiro sulla prima impostazione. Schierarsi a specchio e accettare la sfida. Con il Torino molto alto e i primi duelli vinti la squadra si garantiva spazio da giocare in verticale, sebbene sia mancato qualcosa in fase di creazione. Il resto lo fa Vilhena che capisce come occupare i mezzi-spazi e mettere in difficoltà la circolazione torinista: l’errore di Vojvoda che genera il gol nasce così. L’olandese e Nicolussi salgono in cattedra, lavorando bene sulle posizioni e annullando anche l’ingresso di Ricci voluto da Juric proprio per riprendersi la mediana.

A questo punto il Torino è tornato sulle proprie certezze, cioè le fasce laterali. Soprattutto sulla destra, dove Lazaro prima e Singo poi avevano troppo spazio davanti a sé: il croato non prendeva mai la posizione e veniva sempre infilato. Dal lato mancino lavorava Sanabria per attirare i difensori e giocare poi sul lato scoperto con Miranchuk: gioco che stava riuscendo, se non fosse per Memo Ochoa. Qui Nicola ha l’intelligenza di correre ai ripari immediatamente con un doppio cambio: Gyomber e Pirola.

Le posizioni medie nella ripresa. A sinistra la fase di possesso, a destra quella di non possesso. Notare la differenza tra Pirola (98) e Bradaric (3), nonché il diverso lavoro tra Gyomber (23) e Daniliuc (5) in relazione a Fazio (17)

Lo slovacco, al rientro, viene chiamato a ciò che sa fare meglio cioè la marcatura a uomo sul centravanti. Il difensore scuola Inter si posiziona da quinto e fa due cose fondamentali: in fase di possesso prende quei 5 metri di ampiezza che danno a Nicolussi Caviglia e Dia dei riferimenti; in fase di non possesso occupa lo spazio e si orienta su quello. Nel mezzo Fazio che può contare su due riferimenti e riprendere il filo della gara. Un po’ di sofferenza finale, dettata dalla stanchezza, ma quel mix di difesa e gestione del possesso ha garantito il pari finale

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