di Giuseppe Barbato

Raccontare la storia di questa partita non vuol dire pensare al risultato al minuto 80 e il risultato al minuto 95. Significa analizzare, con calma, tutti i 90 minuti e capire cosa non ha funzionato perché un pareggio è frutto di un mix tra cose buone e cose meno buone. Vuol dire calarsi nei panni di Nicola e del gruppo perché solo ricavando tutte le indicazioni si può crescere e migliorare; questa Salernitana saprà farne tesoro.

Primo tempo: il morbo della costruzione del basso

La definizione non è mia, bensì di Massimo Marianella che così ha commentato un errore in fase di costruzione dell’Arsenal in occasione della partita di domenica scorsa contro il Manchester United. Quello che lui chiama morbo in realtà è l’attualità del calcio: il dominio del pallone è la base per il successo. Come si controlla è un altro discorso e ognuno ha i suoi metodi. L’Empoli lo fa attraverso il palleggio, le catene con i terzini a cui è delegata una parte importante della conduzione palla e la grande mobilità degli attaccanti. La Salernitana, sulla carta, avrebbe tutti gli strumenti per disinnescare le armi degli azzurri ma sulla schiena della squadra c’era la spia della benzina, frutto degli impegni ravvicinati e del poco turnover adottato da Nicola. L’aggressione e la riaggressione costante, i cardini del gioco granata, erano inattuabili su tutti i 90 minuti: ciò ha imposto una strategia meno aggressiva. Lasciare all’Empoli il possesso nel proprio terzo di campo, quindi senza forzare il pressing sui due centrali e Vicario, e schermare le linee di passaggio centrali in particolare su Grassi e Henderson. La difesa granata in questo modo era più orientata sugli spazi e non sull’uomo: è un lavoro diverso dal solito, sia in termini di occupazione sia di velocità nel posizionamento quando gli avversari superano le linee di passaggio. Quello che la Salernitana non ha saputo fare per larghi tratti del primo tempo.

Dietro l’Empoli ha avuto spazi e tempi per muovere il pallone, al momento opportuno verticalizzava e superava sempre la prima linea di pressione. A quel punto la Salernitana andava in difficoltà perché Lammers e Satriano erano bravi a muoversi sia in avanti sia indietro: l’olandese prendeva sempre l’anticipo su Gyomber, l’attaccante scuola Inter lavorava ai fianchi Fazio sfruttando la maggiore velocità. Bronn era solo tra due fuochi e non sempre aveva spazio per scalare con i tempi giusti, tra l’altro senza ricevere il giusto sostegno da Candreva. Non a caso nella prima mezzora di gara l’Empoli arriva alla conclusione cinque volte, sebbene non in maniera pericolosa (totale degli xG: 0,19), e sempre sul centro-sinistra della difesa granata. Questo perché l’Empoli spingeva molto bene a sinistra, con Lammers che si spostava da quel lato e Parisi che si apriva il campo con le conduzioni palla, per poi dirottare la palla sul lato opposto dove Satriano, i centrocampisti o lo stesso Lammers che poi cambiava fronte arrivavano alla conclusione. Semplice questione di tempo: prima o poi la grande occasione sarebbe arrivata e succede alla mezzora. Il vantaggio di Satriano è cosa fatta. La Salernitana fino a quel momento aveva prodotto poco o niente: Maggiore non trovava gli spazi e la circolazione palla non era veloce. Solo con alcuni cambi gioco la squadra si avvicinava alla porta avversaria ma senza finalizzare.

Il vantaggio ospite è lo schiaffo che serve: la Salernitana non ha gamba ma la forza mentale per venirne fuori. Lo fa con il suo gioco e la propria forma di contrarre il morbo. Ha subito una grande occasione con Vilhena che viene stoppato sul più bello dopo un’azione ben congegnata, poi si accende Pasquale Mazzocchi: la sua discesa è fenomenale e nessuno dell’Empoli può fermarlo. La sua esultanza è l’immagine di una squadra che pure nelle difficoltà non perde la bussola. Il giallo è semplicemente frutto dell’adrenalina, non va biasimato.

Secondo tempo: a cosa serve una rosa lunga?

Dopo un primo tempo contratto e a ritmi bassi la Salernitana trova le forze per rimettere la partita sui propri binari. Cambiava totalmente il modo di interpretare la fase di non possesso: non più schermatura centrale ma subito aggressione sui difensori e Vicario, oltre che salita alta dei quinti per garantirsi il baricentro. L’Empoli perde i riferimenti e la velocità del giro-palla. I granata salgono in cattedra e nel secondo tempo è un’altra partita. Agli azzurri servirebbe qualcosa ma il centrocampo esce di scena: Pjaca non dà qualità, i centrocampisti giocano sempre meno palloni. Con un Maggiore che si limita al compitino e Vilhena che si concede qualche giocata di troppo sale in cattedra Lassana Coulibaly: la squadra si appoggia sui suoi muscoli ma per mantenere baricentro e dominio del gioco servono i cambi.

Nicola punta su Piątek e Daniliuc: il polacco si spende a tutto campo e porta quelle pressioni che Bonazzoli non ha saputo fare; l’austriaco garantisce qualità del possesso e forza fisica per reggere le folate avversarie. Una squadra come la nostra, che fa del dispendio fisico e del lavoro di squadra la propria base, ha bisogno di una rosa lunga per garantirsi ciò che sa fare ed eventualmente piccoli cambi allo spartito generale. Il cambio di passo è evidente: l’Empoli non esce più dalla metà campo, la Salernitana non ha occasioni ma è costantemente nella metà campo avversaria. Il gol è frutto di un’invenzione di Vilhena che serve un pallone col contagiri per Dia: il senegalese è puntuale come un centravanti di razza deve esserlo. L’inerzia della partita è tutta dalla parte granata che ha ampiezza, spazi e tempi per chiudere il conto ma minuto dopo minuto comincia ad andare in debito d’ossigeno. L’immagine di questa difficoltà è proprio Vilhena: l’olandese vuole rallentare, sfruttare la sua capacità di usare la pausa e tenere palla ma col passare del tempo gli avversari prendono le misure. Sulle corsie esterne Candreva non ne ha più e Nicola tarda il cambio Mazzocchi-Bradaric, per quanto il croato nei minuti rimanenti si dimostra ancora troppo timido.

Zanetti capisce il momento e prova a riprendersi il match, usando i cambi. Le scelte sono corrette, dal punto di vista tattico, ma non pienamente efficaci dal punto di vista tecnico. Su tutti Akpa-Akpro che dovrebbe garantire corsa e inserimenti ma è il grande assente delle ripartenze azzurre. Come nel primo tempo solo una giocata, o un errore, può rimetterla sul binario dell’equilibrio ed è ciò che succede. Nella circostanza la difesa granata paga un mix di sfortuna e mal posizionamento difensivo: non tanto il tentativo di anticipo di Daniliuc ma la lettura sbagliata di Fazio e Bronn. Gli ultimi minuti sono un mix di nervi e ricerca delle ultime energie: entrambe le squadre non hanno occasioni e si arriva così al fischio finale di Abisso.

Un pareggio giusto

Guardando le statistiche si nota come la Salernitana ha avuto più occasioni dell’Empoli, più quantità e qualità nel possesso, oltre che un miglior impianto complessivo. Non ha sfruttato a pieno tutto questo: le chance che ha avuto non sono state di qualità e spesso frutto di iniziative individuali. La morale che se ne ricava è che la Salernitana ha un futuro davanti a sé ma potrà realizzarlo con continuità se tutti i giocatori sapranno entrare nel sistema e garantirne l’efficacia sulle 38 gare: l’ingresso dei nuovi e il recupero degli infortunati, su tutti Bohinen, sarà determinante. L’Empoli, eccezion fatta per l’ottima mezzora iniziale, ha messo in luce i limiti emersi nel passaggio da Andreazzoli a Zanetti: l’impianto c’è ancora ma ha perso alcune individualità importanti. In ogni caso abbiamo visto un pareggio giusto tra due squadre di Serie A.

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