Di Vincenzo Senatore
Non si può comprendere in pieno il valore della sofferenza sportiva se non si assiste a un finale come quello di Salernitana-Genoa. Un fortino, quello granata, che a tratti tiene serrate le fila solo con lo spirito di sacrificio. Calci e morsi, si direbbe nel gergo del calcio da strada. Sangue e arena. Qualche spunto tecnico qua e là: Kastanos, piede sinistro educatissimo, serviva al centrocampo granata come il pane da tempo; Simy, per come è messo ora, serve a poco perché al di là della inesistente vena realizzativa non dà nulla nemmeno dal punto della presenza fisica; una dorsale centrale imperniata sull’asse Lassana Coulibaly-Strandberg-Ribery comincia a funzionare molto bene per la serie A, alla faccia dei competenti da salotto televisivo. Cogliere in un colpo solo la prima vittoria e abbandonare l’ultimo posto in classifica è una spinta importante per il futuro. A patto che dopo la sosta i granata siano in grado di far registrare un’ulteriore crescita dal punto di vista della gestione delle fasi critiche. È una novità assoluta finire la partita senza subire gol, fin qui non era mai successo, ma già da un mese a questa parte la fase difensiva aveva registrato una decisa inversione di tendenza. L’obiettivo, adesso, deve essere quello di chiudere il girone d’andata con ancora la prospettiva di potersela giocare nelle 19 partite del ritorno. Si può fare. La partita col Genoa ha dimostrato che il calcio è più o meno lo stesso a tutte le latitudini: piedi buoni, cuore, fortuna.