di Giuseppe Barbato

Pippo Inzaghi a fine gara cerca, comprensibilmente, di trovare degli elementi positivi in una brutta prestazione. L’inizio non è stato di quelli sperati, non si registrano progressi su alcun versante. Necessario addolcire la pillola, usare frasi di circostanza. Non va attaccato per questo. Se deve esserci del biasimo va rivolto all’atteggiamento del primo tempo e alla sterile partita della ripresa. Il Genoa ha controllato il match per tutti i 90 minuti: domina il primo tempo, gestisce nel secondo senza correre troppi rischi. Quello su cui Gilardino ha sbagliato è la poca ricerca del 2-0, della stoccata finale. L’infortunio di Retegui pesa ma non è sufficiente. Un secondo tempo di contenimento funziona contro avversarie di minor spessore, contro l’attuale Salernitana. Resta una brutta tendenza del Grifone che ha potenziale per un campionato da parte sinistra della classifica.

Le due squadre si schierano in apparenza a specchio ma l’approccio in campo fa la differenza. La Salernitana difende costantemente con dieci uomini dietro la linea del pallone, pure quando il Genoa supera la prima linea di pressione e alza il suo baricentro continua ad arretrare. La scelta di Inzaghi è chiara: chiudere gli spazi e le linee di passaggio centrali, anche a costo di concedere ampiezza. Sabelli e Martin provano a prendersela, con risultati diversi. L’ex-Bari duella con Bradaric, lo spagnolo mette molti cross. La costruzione bassa del Genoa è molto interessante, si adatta anche nel corso delle singole azioni passando indifferentemente a 3 o 4. Fondamentale l’appoggio dei centrocampisti: Badelj si abbassa sulla linea dei difensori, se necessario; Frendrup copre, Malinovskyi si abbassa, Gudmundsson si muove a tutto campo per creare linee di passaggio verticali.

Proprio da queste situazioni e da due buchi di posizione lasciati dai giocatori granata nasce il gol di Gudmundsson. Il primo errore è di Maggiore, il secondo è Gyomber però non è l’aspetto decisivo. La Salernitana anche con Inzaghi continua a farsi manipolare troppo facilmente dal possesso avversario e non sa leggere i movimenti dietro le linee. Cerca di portare una pressione sull’uomo senza trovare i tempi giusti. Le squadre avversarie lo sanno e lavorano bene col pallone e senza. L’ulteriore passo indietro rispetto al passato riguarda il lavoro con la palla: 3’17 di possesso su 13’46 di tempo effettivo nella prima mezz’ora (24%). Tre passaggi nella metà campo avversaria nei primi 20 di partita. La Salernitana ha cominciato la partita rinunciato al pallone.

Nell’ultimo quarto d’ora del primo tempo la Salernitana riesce a intercettare qualche pallone a metà campo, a lanciarsi in avanti con Dia e Cabral però non costruisce azioni. Anche perché i giocatori provano a portare tanto il pallone, perdendo quel tempo di gioco. L’unica azione interessante del primo tempo si sviluppa sulla destra, a partire da un triangolo Maggiore-Mazzocchi-Candreva con quest’ultimo che libera spazio per l’esterno di Barra che arriva sul fondo e crossa. La Salernitana vuole lavorare molto con le catene esterne, prima intasando la zona centrale e poi scaricando sull’esterno per poi aprirsi due fronti con l’attaccante che rientra in area e un centrocampista che si inserisce.

È forse l’unica giocata codificata diversa rispetto al passato. La Salernitana la prova nel secondo tempo favorita da un aspetto: il Genoa che si abbassa tantissimo e lascia giocare, sfavorito anche dall’assenza di Retegui. Ekuban è uno spettro, al punto tale che perfino i compagni lo ignorano. Emblematico il contropiede al 90° con Gudmundsson che non gli passa il pallone, un assist facile, preferendo la soluzione personale. Eppure il Genoa avrebbe spazi da sfruttare, soprattutto sull’esterno con Mazzocchi e Sambia molto alti che inevitabilmente lasciano spazi alle spalle. Interessante la partita del francese: ordinato tatticamente, continua a essere molto timido col pallone. Anche quando ha spazi e tempi si inserisce ma non ha la necessaria convinzione.

Mazzocchi ha gamba e spazio ma non è efficace, la sua è una specie di corrida con lui: prende il pallone e corre negli spazi a testa bassa. Non c’è quel respiro che Sambia riesce a dare. Al centro il Genoa controlla agevolmente, sono solo due le situazioni pericolose (di cui una in offside certo) che la Salernitana crea. Łęgowski prova a dare quegli inserimenti che gli altri non hanno saputo dare, Ikwuemesi prova a fare quello che ha fatto Gudmundsson dall’altra parte senza avere la necessaria elettricità. La Salernitana butta tanti uomini in avanti senza avere un criterio preciso. Comincia la ripresa con due punte più Maggiore trequartista, chiude con un 433 puro con in mezzo sprazzi di 4-2-3-1. Tante posizioni, tanti movimenti e Dia nel mezzo che si perde e spreca la chance del pareggio.

La Salernitana in questo momento sembra Samia Yusuf Omar, l’atleta raccontata nel libro che dà il titolo all’analisi di oggi. Ultimissima, incapace di dare più di quello che ha. Incoraggiata oltre ogni misura dal suo pubblico. Per fortuna senza il dramma della Somalia e della guerra, perché per quanto possiamo soffrire resta un gioco senza drammi. Alla fine c’è un charter che porta la squadra a Salerno, un pullman che porta a casa i tifosi, un articolo da finire. Volendo possiamo anche dirci di aver paura. Di non farcela, di abbandonare la Serie A.

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