di Giuseppe Barbato

Studiando la partita di ieri verrebbe voglia di urlare ‘l’avevamo detto’, passando per quelli che si sentono dei grandi esperti. Stiamo al dato di fondo che la partita restituisce: l’atteggiamento e i principii di gioco contano più delle singole posizioni in campo. Il modulo non è tutto, non lo è mai stato. La Salernitana vista ieri ha vinto perché ha avuto coraggio: ha attaccato, ha impostato da dietro, ha attuato fasi di riaggressione, cercato linee di passaggio verticali per superare la pressione avversaria e alzare il baricentro. Insomma, ha guardato alle sue caratteristiche e giocato il calcio più congeniale. Il 3-4-2-1, con la coppia di trequartisti Candreva-Kastanos, è tornato vincente. Come nei giorni migliori di Sousa. Però con qualche novità, in termini di uomini e di tempi di gioco. Però si è rivista quella squadra.

Contro una squadra di Sarri è normale subire il possesso palla e la pressione. Però non abbiamo mai rinunciato a giocare e mai messo le barricate. La Salernitana non solo ha corso tanto, come a Reggio Emilia, ma ha fatto correre tanto il pallone senza l’ossessione del lancio lungo. Servendosene con raziocinio, nella maniera giusta. E tutto questo ha esaltato due giocatori: Bohinen e Ikwuemesi. Il norvegese è un giocatore particolare: non ha bisogno per forza del pallone, per quanto dopo la traversa di ieri sarebbe bello rivederlo tentare una conclusione da ieri. Ha bisogno che il pallone si muova tanto e con lui la squadra: negli spazi che il gioco crea, tra la palla e i compagni, si inserisce lui. Il suo movimento, la sua maniera di fare calcio non è lentezza ma ricerca di quegli spazi perché è lì che fiorisce.

Il nigeriano è entrato definitivamente nella mentalità che deve avere la prima punta della Salernitana. Non deve per forza segnare tanto: deve mettere la propria forza al servizio dei compagni perché la tecnica che gli sta intorno tornerà indietro. Ikwuemesi ha capito il meglio che sapeva dare Piątek l’anno scorso e l’ha mostrato ieri. Duelli aerei, gioco palla a terra, attacco della profondità, sostegno al pressing: tante cose fatte bene e inserite nel tassello collettivo. La stessa cosa vale per altri perché a fare la differenza è il sistema, non la somma dei singoli forti. Non è “abbiamo Dia, abbiamo Coulibaly, abbiamo Mazzocchi, abbiamo Pirola”. È avere le idee di calcio che esaltano le singole individualità che non sono da ultimo posto.

La chiusura è rivolta a Pippo Inzaghi. Per certi versi è stata la sua miglior partita da quando allena in Serie A: pure il celebre exploit di Juventus-Benevento fu frutto di tante situazioni. Qui la Salernitana non ha avuto dalla sua episodi: ha costruito il suo trionfo e l’ha difeso bene. Nel finale la Lazio ha dominato baricentro, possesso e intensità del gioco ma non ha creato occasioni: 4 tiri di cui tre da situazione di palla ferma e solo uno nei 16 metri, di Castellanos al 70°. Per una squadra con quelle strutture offensive è un dato risibile. Da qui bisogna partire: dall’idea che se tu giochi all’attacco i primi 70 minuti poi negli altri 20 puoi difenderti, abbassarti un pochino senza rischiare per forza. Se tu invece fai l’inverso rischi tantissimo e spesso perdi.

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