Geza Kertesz. Leggero come una fresca brezza di mare. Pesante come un sasso di miniera. E’ arduo il dover raccontare – seppur sotto forma di riflessione personale – un personaggio come Geza Kertesz. Ungherese per i suoi natali, ma italiano d’adozione, avendo girato lo stivale da nord a sud. A Salerno per decenni la sua memoria è finita dentro qualche armadio impolverato, senza che potesse essere tramandata nella misura dovuta ad un “eroe” moderno, che ha preferito l’umanità all’indifferenza, il coraggio alla paura.

L’arrivo in Italia e le soddisfazioni sul campo

foto di Geza Kertesz

Quando giunge in Italia, Geza porta con sè non solo la moglie, ungherese anche lei, ma anche tanti sogni. Da giovane è stato calciatore di buon livello, disputando campionati di prima categoria in quello che tutti etichettavano come “calcio danubiano”, fatto di sperimentazioni tattiche e di una feroce attenzione al risultato finale. Conosce varie lingue, veste bene, ama la musica e la letteratura. Insomma un personaggio dandy che s’innamora subito delle “piazze” dove si esibisce come allenatore. Inventa anche il ritiro precampionato, una sorta di esilio forzato per i calciatori, chiamati alla massima concentrazione possibile. E così, di piazza in piazza, arriva anche a Salerno. Era la stagione 1929-30 e la Salernitana orbitava da tempo in serie C.

Con gli “azzurri” della Salernitana gol e sorrisi

geza kertesz

E’ stata un’esperienza esaltante quella di Kertesz al Piazza D’Armi. Con il tecnico magiaro, per la prima volta nella sua storia, la squadra biancazzurra sfonda il muro dei 50 gol realizzati, sciorinando gran calcio su ogni campo. Non arriva però la promozione, ma un amaro addio, contornato da un giallo buro-diplomatico di cui ancora oggi si discute. Fatto sta che Kertesz va via dopo due stagioni salernitane, portando con sè anche il piccolo Giovanni Kertesz, primogenito del tecnico magiaro, salernitano purosangue essendo nato presso gli ospedali riuniti “Vernieri”.

Il ritorno in Ungheria e la fine eroica al castello di Buda

Come aveva vissuto fino a quel momento, Geza non immaginava affatto di dover affrontare la sua sfida più ardua. Eppure quel tecnico così tanto apprezzato in Italia (Catania, Atalanta, Salernitana, Spezia, Lazio, Roma, finanche la squadra del Littorio) sentì che il clima in Europa era diventato pesante per gli ebrei (lui compreso) e così decise di rientrare in Patria insieme alla famiglia.

Salernitana a Piazza DArmi torneo 29 30 allenatore Geza Kertesz

Poi, una volta a Budapest, resosi conto di quello che le Croci Frecciate e le SS tedesche stavano facendo alla popolazione di origine semita, decise di entrare in clandestinità e di sposare la causa della resistenza nazionale. Grazie al suo ottimo tedesco, con una divisa da ufficiale nazista addosso, Kertesz riuscì per mesi a far scappare centinaia di ebrei dalla capitale ungherese, come negli stessi giorni faceva l’italiano “fascista” Giorgio Perlasca. Ma la storia non andò come Geza voleva. Una delazione e poi l’arresto, le torture e gli interrogatori, fino alla condanna a morte, eseguita mediante fucilazione 4 giorni prima della liberazione di Budapest. La sua tomba, presso il cimitero degli eroi, non è adornata di fiori, ma di sassi. Sono il gesto semplice di chi ha avuto la vita salva grazie ad un allenatore dandy e che amava l’Italia.

Una strada per Geza

Sarebbe bello, davvero bello se il Comune di Salerno immaginasse di dedicare una strada alla memoria di Geza Kertesz, come segno indelebile della gratitudine verso questo eroe dimenticato dalla storia ma che fece grande anche la Salernitana di quegli anni ruggenti.

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