Nel giorno in cui l’Italia celebra la ricorrenza del 25 aprile 1945 – giorno in cui l’insurrezione popolare e l’arrivo delle truppe alleate consentì la liberazione della città di Milano dall’occupazione tedesca – Salerno e la Salernitana non possono non rispondere “presente”. Con due storie differenti, opposte diremmo, ma tutte “tinte di granata”. Già perchè il calcio – per fortuna – riesce ad andare oltre gli steccati ideologici della memoria. Grazie a quattro uomini che nel corso della loro carriera hanno indossato la casacca sociale della Salernitana, lasciando ognuno un segno differente del proprio cammino agonistico e umano.

foto di Geza Kertesz

GEZA KERTESZ. L’allenatore dandy, ungherese di nascita, poliglotta, amante della musica e della letteratura, profeta del calcio offensivo. Geza Kertesz ha lasciato a Salerno una fetta importante della sua umanità e del suo valore tecnico. Per tre stagioni agonistiche fu alla guida della Salernitana (29-30, 30-31 e 40-41), sciorinando un gioco d’attacco e ricco di gol ed emozioni. Sua l’invenzione del ritiro precampionato. Kertesz era ebreo, ma nonostante ciò in Italia fu sempre rispettato ovunque abbia lavorato, finanche nel 1942 quando fu chiamato a Roma ad allenare il Gruppo Sportivo Littorio (espressione del fascismo). Poi nel 1943 Kertesz decise di ritornare in Patria nella sua Budapest, dove decise di combattere contro l’occupante nazista. Travestito da ufficiale delle SS, grazie al suo perfetto tedesco, riuscì a introdursi negli ambienti della Wermacht salvando centinaia di concittadini di origine ebraica dalla deportazione. Poi, a seguito di una delazione, fu arrestato, torturato e infine fucilato dalle SS il 6 febbraio 1945 nel castello di Buda.

Waler Zironi

WALTER ZIRONI. Nativo di Sassuolo (era nato, guarda caso, nel 1919), indossò la casacca della Salernitana nella stagione 1941-42, disputando 10 partite e andando a segno 5 volte. Era un attaccante generoso, come nella vita. La sua fede politica lo portò – all’indomani dell’8 settembre 1943 – a imbracciare il mitra insieme ad un gruppo di partigiani. Morì fucilato dai tedeschi nell’eccidio di Manno durante la Seconda guerra mondiale, il 7 ottobre 1944, insieme ad altri undici partigiani, dieci dei quali provenienti dalla sua Sassuolo.

CARMELO AMENTA E RENATO TORI. Due nomi che ai più non dicono nulla, ma che nascondono un’altra storia. Una storia intrisa nel sangue della guerra civile che nel 1944 infuriava in Italia, in particolare nelle zone del Nord, dove la Repubblica Sociale Italiana di Benito Mussolini aveva organizzato il campionato Alta Italia. Quel torneo, quello scudetto – ancora oggi al centro di un violento dibattito storico-politico – fu vinto dalla squadra del Vigili del Fuoco di La Spezia, dove Carmelo Amenta e Renato Tori giocavano. Una volta finita la guerra, nell’estate del 1945, sia il difensore Amenta che il mediano Tori vengono ingaggiati dalla Salernitana. Qualcuno a Salerno mormorò che si trattava di due “repubblichini”, ma la società granata andò avanti per la propria strada. Occorreva ricostruire l’Italia e il calcio serviva anche a superare le tragedie della guerra civile. Così Amenta e Tori furono protagonisti del torneo misto A-B 45-46. Amenta andò via al termine di quella stagione, dopo 17 presenze, mentre Renato Tori restò altri due anni, diventando protagonista assoluto sia della storica promozione in A del giugno 1947, sia della successiva stagione in massima serie.

La formazione granata nella stagione 1945-46

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