di Giuseppe Barbato

Se perdo te cosa farò? Così cantava Patty Pravo in una sua vecchia canzone, grande classico della musica leggera italiana. È la stessa domanda che si sta ponendo la Salernitana, alla luce dell’infortunio di Matteo Lovato e la contemporanea assenza di Norbert Gyomber. Prima di capire le possibili soluzioni è fondamentale analizzare perché si è puntato tanto sul difensore ex-Atalanta e quali erano i principii di gioco che Nicola stava costruendo

Perché insistere su Lovato?

I tifosi, preoccupati per la cessione di Ederson, più volte si sono chiesti del perché di tanta insistenza sul centrale padovano. Parliamo uno dei migliori prospetti italiani grazie alle ottime doti fisiche e tecniche, in grado di esprimersi al meglio in un gioco pro-attivo in entrambe le fasi. Lovato non si è ancora imposto in A perché non ha avuto quella continuità di rendimento necessaria a un calciatore per completare il proprio bagaglio: esattamente quello che gli offre la Salernitana. La dimostrazione pratica si è potuta vedere negli allenamenti, lì dove si sta progettando la squadra del futuro. Costruzione dal basso sempre e comunque, sia con la linea a quattro sia con la linea a tre: la scelta è dettata dalla contingenza, cioè dal numero di avversari che esercitano il pressing sulla difesa. La priorità è avere sempre un uomo in più in fase di primo possesso (in realtà due, date le doti di sweeper-keeper di Sepe): si tratta di un principio di gioco ancora poco comune in Italia, dove lo si è potuto ammirare soprattutto nel Sassuolo durante la gestione De Zerbi. L’obiettivo è muovere la palla velocemente, fornirla a Bohinen il prima possibile in maniera tale da sfruttare le geometrie e l’intelligenza del norvegese.

Ciò è possibile soltanto avendo dei difensori in grado di giocar bene la palla, anche sotto pressione, di garantire la necessaria ampiezza e velocità nel posizionamento difensivo: Lovato garantisce tutto questo. È efficace nello smarcamento, abile nel palleggio e reattivo a prendere la posizione necessaria; braccetto di destra nella difesa a tre, esterno basso a destra nella difesa a quattro. Gyomber è migliorato molto da quando è arrivato Nicola ma risulta ancora discontinuo nella gestione della sfera, soprattutto se sotto pressione. Lovato completa un reparto che ha come perno centrale difensori con grande senso della posizione, come Fazio e Radovanovic, e un braccetto sinistro altrettanto valido in tecnica e velocità come Pirola. In questo modo si garantirebbe anche la gestione di eventuali palle perse, attuando sia una pronta riaggressione sia un ripiegamento per gestire la palla scoperta.

Quali sono le alternative? Possibilità e contro-indicazioni

L’assenza di entrambi provoca un buco di organico: come si può ovviare? Potenzialmente in tanti modi, nella pratica in pochi perché le soluzioni d’emergenza restano tali e presentano dei limiti importanti. Nel corso della scorsa stagione il mister ha tentato di ovviare adattando un quinto nella posizione di braccetto: a sinistra successe a Bergamo, con Ruggeri che se la cavò bene; a destra venne fatto un tentativo con Mazzocchi, contro la Juventus, ma i risultati non furono incoraggianti perché non seppe tenere le giuste distanze. L’alternativa è spostare uno degli altri difensori in quella posizione. Partiamo da quelli di piede destro, come Lovato: in assenza di Gyomber restano solo Radovanovic e Motoc. Il serbo dal punto di vista tecnico ha tutto quel che serve, purtroppo è un tipo di giocatore che compensa le mancanze sul breve con il senso della posizione. Non l’ideale in un gioco che prevede grande ampiezza e reattività. Il moldavo sta imparando a giocare come centrale, sfruttando le sue doti di conduzione palla e fisicità: come braccetto sarebbe tutto da inventare e di tempo ce n’è poco.

Se invece si schierasse un mancino? Qui ci sarebbero due tipi di problemi. Il primo è nella costruzione del possesso perché la tendenza sarebbe quella di rientrare sul piede forte, invece di utilizzare il destro, con immediata perdita di fluidità e restringimento del campo. Il secondo problema è la facilitazione del lavoro per l’avversario che avrebbe meno campo da coprire e un avversario preciso su cui esercitare la pressione. L’obiettivo della costruzione da dietro è l’opposto: sfruttare la velocità del possesso palla e l’ampiezza degli avversari, attirandoli col pressing, per avere degli spazi da giocare occupandoli con i centrocampisti. Ecco perché la risposta migliore resta il ricorso al mercato, con l’acquisto di un altro difensore: magari conoscitore della difesa a tre e dei suoi posizionamenti, oppure un giovane dotato di altrettanta tecnica e reattività.

Si ringrazia Giulio Di Cienzo per gli spunti e i consigli

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