di Vanni Vignes

Nella sera del vento freddo che annuncia l’autunno in casa Salerno, arriva una di quelle partite che aspetti da sempre. I “guantoni” contro il Verona li indossiamo sempre molto volentieri, come se fosse un rituale medioevale: armatura, elmo, spada e poi via, all’assalto degli scaligeri. Lo facciamo perchè siamo “terroni” e pisciaiuoli. Lo dobbiamo alla nostra storia, quando qualcuno ha riso delle nostre lacrime.

E’ accaduto ieri, nel tardo pomeriggio, allo stadio Arechi. Una curva che ancora una volta ha smesso di essere di cemento ed è diventata carne. Eravamo assembrati? Forse. Anzi sicuramente. C’erano cori e bandiere al vento? Assolutamente si. Come accade ovunque in Italia solo che forse qualche nostro politico locale è più concentrato sulle imminenti elezioni amministrative. Ma ce ne faremo una ragione, state tranquilli. Tutti abbracciati, dicevamo, tutti a cantare, tutti a sostenere quella maglia tanto bistrattata dai bookmakers e dalle quote Snai, dai santoni mediatici nazionali ed anche da qualche “doppiofedista” indigeno. Ma noi no. Noi siamo quelli malati dentro che cantano, sempre e comunque. Perchè? Non ce lo chiedete, la risposta non la conosciamo nemmeno noi.

C’erano tre punti in palio ieri. Ne è arrivato un solo. E in molti non ci credevano nemmeno, visto che a pochi secondi dall’intervallo Kalinici aveva già bucato la porta di Belec in due occasioni. Due colpi in pieno viso da far barcollare anche Rocky. Ma noi no. Rimboccate le maniche, abbiamo continuato a cantare come se non esistesse un domani, una serie A, una categoria. Ma solo per il fuoco che abbiamo dentro e che ci infiamma ad ogni partita. Siamo salernitani – cantavano gli ultras – ed io con loro, in mezzo a loro. Non me ne vergogno, anzi. E’ casa mia quella curva, dove lascio ad ogni partita un pezzo di sogno, un po’ di salute e tante imprecazioni.

E se noi in curva cantavamo, in campo c’erano loro a sputare sangue. Non siamo una squadra da alta classifica – certo – ma il cuore lo abbiamo alto. Tutti corrono, c’è chi sbaglia (e pure tanto), chi s’affanna, chi non ha i piedi buoni. Ma tutti hanno indosso il colore della passione, che li spinge a fare qualcosa di più delle loro capacità. Arrancando l’abbiamo pareggiata, alla faccia di chi ci ha già dati per spacciati. E in campo s’è visto anche qualcosa di meraviglioso: un 38enne francese, che nella sua bacheca di casa ha più titoli di tante società europee e non solo, che andava ad aggredire il portiere avversario a 10 minuti dalla fine. Chapeau monsieur Ribéry. Sei pisciaiuolo dentro, come lo sono i tuoi compagni che sputano l’anima. E questo ci basta.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui