di Giuseppe Barbato
L’immagine della partita di ieri è il gol di Verdi, non potrebbe essere altrimenti ed è doveroso che sia questa. Ma cos’è successo nei 93 minuti precedenti? Che partita è stata? Come si è presentata la Salernitana al cospetto di un Udinese che veniva da un ottimo momento di forma e non perdeva in casa dall’Epifania?Rispondere a queste domande serve a capire alcuni dubbi che i tifosi granata si pongono davanti ad alcune questioni, individuali e collettive, ai quali proprio la partita alla Dacia Arena pongono risposte interessanti.
Bisogna partire da quella più stuzzicante agli occhi dei tifosi, considerate le grandi aspettative sul calciatore: perché perfino in assenza di Djuric Mikael è stato relegato in panchina e gli è stato preferito Ribery? Nelle ultime settimane il minutaggio del brasiliano è cresciuto ed è rientrato in pianta stabile nelle rotazioni di Nicola, segno che non esiste un ostracismo nei suoi confronti. Tuttavia non ha ancora quei minuti nelle gambe che gli consentono un utilizzo dal primo minuto: qui sta la prima ragione nella scelta di non schierarlo dal primo minuto, preferendo di conseguenza un giocatore brevilineo che conduca diversamente il pallone. Anche perché Mikael non è un vice-Djuric ma uno che integra più maniere d’intendere il centravanti senza prevalere in una di esse. Nei venti minuti in cui è sceso in campo si è disimpegnato bene, sia in attacco sia in difesa. Pressando, cercando di fare i movimenti di Djuric (lavorando più palla a terra che in area) e attaccando spesso la profondità. A volte i compagni non lo hanno servito o l’hanno fatto in ritardo, vanificando i buoni movimenti fatti e aumentando una comprensibile frustrazione. Ancora una volta poteva essere il suo momento ma il palo ha vanificato tutto: gli sforzi e l’inserimento nel gruppo mostrano però che Mikael c’è e può dare il suo apporto.
Poi c’è la domanda chiave che crea qualche malumore nella tifoseria: Nicola si sta incaponendo con alcune scelte o con un atteggiamento troppo accorto quando c’è da mangiare il campo? La risposta a entrambe è “no” ma va motivata, partita dopo partita. A Udine la Salernitana si è schierata per la terza volta di fila col 352, dal punto di vista posizionale, e ciò garantiva all’Udinese un vantaggio: delle partite sulle quali basare degli accorgimenti. Su cosa? Sulla conduzione di palla della Salernitana per impedirle di giocare. In assenza di Djuric il lancio lungo diventa una soluzione di totale emergenza, oltre che poco efficace. Restava il possesso da dietro, da garantire tramite la conduzione palla dei due braccetti (Gyomber e Fazio) o tramite le palle in verticale dei due riferimenti centrali (Radovanovic e Bohinen): tutto questo è necessario per rompere la prima linea di pressione e garantire lo sviluppo dell’azione, tramite i quinti o combinazioni sul corto che stimolino la ricerca del terzo uomo. L’Udinese, per bloccare tutto questo, pressava a uomo sui tre centrali e poi schermava con i due interni di centrocampo le linee di passaggio verticali. Nel caso la palla fosse giunta a Bohinen o alle mezzali saliva la pressione con il raddoppio dell’interno di riferimento e di uno degli attaccanti. In questo modo ha bloccato le fonti di gioco e reso complicata la risalita del campo, affidata a quel punto alle “pause” di Ribery e al passaggio di Sepe verso i quinti: in questa situazione Zortea ha perso molti palloni mentre Ranieri, così come a Genova, si è dimostrato diligente e ordinato favorendo con i suoi movimenti gli strappi di Ederson che sono stati una risorsa importante, soprattutto nella ripresa.
La Salernitana nel primo tempo ha giocato con un blocco basso ma non troppo perché, escluse le palle ferme, ci si voleva garantire un minimo pressing sui portatori palla friulani che ha permesso recuperi e giocate interessanti, senza la giusta finalizzazione. Sostanzialmente le due squadre si sono annullate, non a caso a parte una palla non sfruttata da Pussetto e il colpo di testa di Gyomber non si sono viste conclusioni pericolose nei primi 45°. Come reagire a tutto questo? Davanti a questa difficoltà sono stati tentati degli accorgimenti nel primo tempo, per esempio l’utilizzo temporaneo del 442 con Ranieri e Gyomber terzini ed Ederson spostato sulla fascia sinistra: soluzioni temporanee che si sono sciolte nella ripresa perché l’Udinese ha alzato il baricentro, anche grazie ai cambi, ma non ha portato quella pressione vista nel primo tempo. Questo e il maggior inserimento di Bohinen nel vivo del gioco, dopo un primo tempo opaco in cui ha perso dei palloni importanti, ha dato nuova linfa alla Salernitana che ha potuto gestire con pazienza.
L’Udinese attaccava a spron battuto ma perdendo i riferimenti iniziali: Deulofeu svariava troppo sul fronte d’attacco, senza compagni pronti a supportarlo (nel primo tempo la posizione sul centro-sinistra ha favorito le combinazioni con Samardzic, scomparso nella ripresa), e dalla panchina non sono arrivati gli apporti necessari. Questo ha spinto Nicola ad aspettare, a sfruttare gli spazi lasciati sulle palle scoperte per delle ripartenze veloci. Per farlo erano necessari giocatori freschi, di gambe e di tecnica. Così si potrebbe spiegare la scelta di ritardare tanto i cambi, considerando anche il fatto che Kastanos si era riscaldato già nel corso del primo tempo. Anche nella ripresa l’Udinese ha avuto più occasioni ma nessuna sopra 0.10 xG: segno che nessuna di questa era nitida, nemmeno la punizione di Deulofeu che solo la deviazione della barriera ha reso un vero pericolo per Sepe. Piano piano si è scivolati verso il finale di partita, dove la Salernitana prima del gol ha avuto delle ripartenze importanti che però non sono state sfruttate non valorizzando gli attacchi di Mikael sulla profondità oppure perdendo palla in maniera ingenua, come capitato a Zortea in una circostanza. L’unico momento in cui ci siamo riusciti si è tramutato in gol ma questa è storia.
Concludiamo quest’analisi con un focus sul norvegese: da quando è diventato in pianta stabile il regista titolare come sta giocando? Sta guidando la squadra o si limita al compitino? In terra friulana ha sicuramente sofferto nei primi 45 minuti, come già abbiamo descritto, ma guardando le statistiche complessive ci si rende conto che è stato decisamente nel vivo del gioco: primo per palloni toccati, anche per via della sua abilità di proporsi sempre sul corto per garantire uno scarico o un movimento in attacco, primo per passaggi effettuati con una buona percentuale di passaggi riusciti sul totale (80%, sopra la media di squadra), secondo per palloni recuperati, questa è una qualità che si nota poco ma aveva già mostrato a Roma e Genova, e primo per km percorsi. Come tutti i registi ha bisogno di toccare tanti palloni ma non è solo uno che aspetta e smista: non disdegna la legna, il combattimento e l’agonismo. Purtroppo venendo penalizzato dagli arbitri per questo, non abituati al suo stile di intervento più da Premier League (dove il padre ha giocato molti anni) che da Serie A. Il suo inserimento in pianta stabile tra i titolari mostra che la ragione, nell’attenderlo, stava dalla parte del mister e del direttore Sabatini. Insomma: questa Salernitana ha qualità e adesso sta raccogliendo i frutti del lungo lavoro profuso.