di Vanni Vignes

Buona la prima. Di sicuro per quanto visto in campo, per l’atteggiamento positivo della squadra, per le due perle di Bonazzoli (specie la prima), per la grinta di Castori a fine gara. Ma non per il resto. E per resto intendiamo l’argomento principe – più dell’Arechi – di questa settimana: le norme anti Covid e la protesta degli ultras.

La “controcronaca” di ieri sera allo stadio Arechi parte dai varchi d’accesso alla curva sud Siberiano. Sono le ore 20 e non ci sono particolari code o assembramenti. I pochi tifosi presenti restano ordinati e relativamente distanti. Il primo livello di controllo – temperatura, greenpass e biglietto si svolge con sobrietà e velocità. Subito dopo una “formale” perquisizione personale ad opera degli steward (“cos’hai in tasca? cos’hai nella borsa?”) e poi via verso i tornelli. Ed è qui che scatta il primo inghippo. Molti dei biglietti – stampati a casa ovviamente – non sono leggibili. Forse il codice a barre è troppo preciso per le stampanti casalinghe e una semplice sbavatura d’inchiostro non ne consente la lettura. E allora come si fa? L’addetto ai tornelli ti apre la porta, sequestra il biglietto e ci mette sopra un segno con la penna. “Vai, puoi entrare”.

E così dopo aver ricevuto la benedizione dei tornelli, si va sulle gradinate. Ed è qui che si materializza il classico “teatrino all’italiana”. Di tutte le prescrizioni indicate dagli organi federali, neanche l’ombra. Ognuno si è seduto dove meglio ha voluto, con accanto gli amici del cuore, i figli piccoli, fidanzate e mogli. Tanti piccoli assembramenti e senza mascherina sul volto. Sulle gradinate anche alcune bandiere. Per non parlare dei posti numerati, assolutamente invisibili agli occhi dei tifosi. Sono partiti tanti cori spontanei e nemmeno l’assenza dei gruppi ultras ha impedito i battimani, gli applausi e gli abbracci alla doppietta di Bonazzoli.

Morale della favola: è proprio necessario sbandierare ai quattro venti norme severe che di fatto allontanano dallo stadio tanta gente – ultras in primo luogo – e poi non vedere l’ombra di uno steward sulle gradinate pronto a far rispettare tali norme? Non sarebbe meglio essere leggermente meno formali e prendere in esame la possibilità che se si entra col greenpass in quasi tutti gli stadi d’Europa (senza alcuna restrizione ulteriore), lo si potrebbe fare anche in Italia al netto di queste regolette inapplicabili e utili forse solo a lavarsi le mani? Dobbiamo chiedere a Pilato?

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