15 maggio 1910, una domenica; all’Arena Civica di Milano la nazionale italiana giocò la sua prima partita ufficiale. E partì con il piede giusto: roboante vittoria per 6-2 contro la Francia, sul tabellino la tripletta di Lana e i gol di Fossati, Rizzi e Debernardi. Sugli spalti quattromila appassionati. In panchina il primo selezionatore, Umberto Meazza, dirigente dell’US Milanese ed ex arbitro. E fin dall’esordio a fare da sottofondo ci fu una bella polemica: i giocatori della Pro Vercelli ( la più forte dell’epoca) avevano disertato l’incontro, in rotta con la Federazione per una questione legata al campionato. Tre settimane più tardi venne disputata un’altra amichevole, in Ungheria, dove invece arrivò una pesante sconfitta: 6-1 per i magiari. Nelle prime due gare la nazionale italiana giocò in maglia bianca, l’azzurro venne adottato soltanto a partire dal 1911 in onore di Casa Savoia.

Esaltanti vittorie e fragorose cadute hanno accompagnato questi 110 anni di storia azzurra. Quattro titoli mondiali fanno dell’Italia la seconda nazionale più vincente del pianeta, insieme alla Germania e alle spalle del Brasile. Leggendaria la squadra guidata negli Anni Trenta da Vittorio Pozzo, commissario tecnico e giornalista: l’Italia – trascinata dai gol di Giuseppe Meazza- vinse il Mondiale del 1934, giocato in casa, e concesse il bis nel 1938 in Francia. E in mezzo venne vinto l’oro alle Olimpiadi di Berlino del 1936. Per tornare sul tetto del mondo si dovrà aspettare il 1982; la nazionale guidata da Enzo Bearzot arrivò in Spagna accompagnata da critiche e perplessità, che il mediocre girone iniziale non fece che acuire. Poi però esplose Paolo Rossi, e la squadra che aveva faticato pareggiando contro Perù e Camerun, sconfisse in serie Argentina, Brasile, Polonia e Germania Ovest in finale. Per la gioia del presidente Pertini in tribuna allo stadio Santiago Bernabeu. Anche l’ultimo mondiale vinto nacque da una bufera: nel 2006 era appena scoppiato lo scandalo Calciopoli, la Juventus era la squadra più coinvolta ma anche quella che formava l’ossatura dell’Italia. Prima della partenza per la Germania c’era chi chiedeva le dimissioni di Marcello Lippi. Ma il commissario tecnico seppe costruire un gruppo capace di isolarsi e di sconfiggere tutto e tutti. Il momento più esaltante di quel mondiale fu la semifinale di Dortmund, contro i tedeschi padroni di casa: gli azzurri giocarono meglio fin dall’inizio, ma dovettero aspettare gli ultimi tre minuti del secondo tempo supplementare per esultare per i gol di Grosso e Del Piero. In finale con la Francia per una volta i rigori non fecero rima con beffa, ma con trionfo.

Già, i rigori… Quante amarezze dagli undici metri: nel 1990 la bella Italia di Azeglio Vicini aveva regalato il sogno delle “notti magiche” e sembrava lanciata verso la conquista del mondiale giocato in casa, ma a Napoli in semifinale con l’Argentina ci fu un traumatico risveglio; nel 1994 la nazionale di Sacchi, trascinata soprattutto da Roberto Baggio, arrivò in finale negli Stati Uniti, ma contro il Brasile ci si fermò a 11 metri dal traguardo; quattro anni più tardi a Parigi nei quarti contro la Francia l’eliminazione arrivò ancora dal dischetto. La beffa più atroce con i transalpini arrivò agli Europei del 2000: l’Italia era in vantaggio a venti secondi dalla conclusione della finale, ma venne riacciuffata da un gol di Wiltort e nei supplementari fu condannata dal golden gol di Trezeguet. Parlando di clamorose sconfitte, non si può prescindere dalle due Coree: nel 1966 azzurri fatti fuori dalla quella del Nord (con il gol di Pak Doo It), nel 2002 eliminati da quella del Sud ( ma in quella circostanza ci fu lo zampino dell’arbitro Moreno, che favorì spudoratamente i padroni di casa). Un disastro gli ultimi tre mondiali: fuori al primo turno in Sudafrica (2010) e in Brasile (2014), nemmeno qualificati in Russia (2018).

Roberto Mancini, dopo le macerie lasciate da Ventura, ha saputo ricostruire, puntando sui giovani e sulla mentalità offensiva. Senza il coronavirus ora saremmo alla vigilia dell’Europeo itinerante, pronti a viverlo da protagonisti. Tutto rimandato di un anno. A ben guardare ci sarà più tempo per crescere ancora. E per provare a vincere una competizione che l’Italia ha conquistato una volta soltanto: era il 1968.

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