di Giuseppe Barbato
Se fossimo su Tinder potremmo dire che la Salernitana e Inzaghi hanno fatto ‘match’, già prima dell’appuntamento decisivo di lunedì a Milano. Super Pippo oggi sosterrà il primo allenamento e guarderà negli occhi la maggior parte del gruppo granata, nonostante assenze pesanti come Ochoa, Gyomber e Dia (convocati con le nazionali). Troverà una Salernitana con i problemi che conosciamo, difficoltà tattiche e mentali. Però il calcio non è fatto di “swipe” o contatti social. È fatto di persone, relazioni tra di loro, qualità tecniche e tattiche. Su queste cose si gioca il futuro della Salernitana. Quale apporto può dare a questa squadra? Proviamo a rispondere, analizzando la sua carriera.
Mentale? Non c’è dubbio. Pippo Inzaghi, lungo tutta la sua carriera, ha dimostrato di amare il calcio e averne molta cura. Celebre per il suo comportamento impeccabile, dentro e fuori il campo, e per il rapporto positivo con i compagni. Qualità che ha saputo portare in panchina. Lo ha dimostrato definitivamente proprio nella scorsa stagione. Aveva in mano una Reggina in gravissime difficoltà economiche, abbandonata al proprio destino. Inzaghi non ha mai dato segni di abbandonare la barca. Anzi, è rimasto fino all’ultimo secondo sullo Stretto beccandosi applausi scroscianti lo scorso luglio al Granillo.
Se la Reggina ha raggiunto i play-off è merito soprattutto suo. La squadra è rimasta sul pezzo, ha gestito i momenti difficili, è andata oltre le penalizzazioni e portato a casa di carattere le vittorie decisive. Su tutte quella con l’Ascoli: la sua esultanza quella sera dice tutto. Sembrava quell’Inzaghi che dominava le notti di Champions League. Andando anche a ritroso sono rarissimi i casi di giocatori o dirigenti scontenti dell’operato umano di Inzaghi. Ha costruito sempre dei gruppi compatti, gestendo anche situazioni spinose o giocatori estrosi.
Tattico? Molti dubbi. Pippo Inzaghi è un allenatore molto ancorato a una fase difensiva vecchio stile. Organizzazione di squadra, compattezza tra i reparti, marcature. Insomma, meglio prendere un gol in meno che farne uno in più. Idee che funzionano bene fino alla Serie B, dove il livello è oggettivamente più basso, e meno in Serie A. Soprattutto se il livello della rosa non è altissimo e quindi non c’è una compensazione automatica con i gol. La storia del campionato degli ultimi anni dimostra che attraverso un buon impianto di gioco e schemi offensivi consolidati si ottengono i migliori risultati. Anche prendendo qualche imbarcata ogni tanto. Il campionato attuale non sta dicendo finora cose diverse, basta vedere il Frosinone.
Lo dimostra anche la storia di Inzaghi, soprattutto quella di Benevento dove nel girone di ritorno si è affidato a qualche lampo (Gaich con la Juventus) pagando caro la scelta di “gestire” il vantaggio accumulato nel girone d’andata. La Salernitana, per impostazione e qualità dei singoli, non è una squadra costruita su quel tipo di calcio: ha bisogno di tenere tanto il pallone, di controllare la partita, di tenere alto il baricentro. Ha giocatori che si esaltano aggredendo l’avversario, prendendolo in un certo modo. Su tutti Daniliuc e Lassana Coulibaly. In mezzo e sulla trequarti ha gente che lavora meglio toccando tanti palloni, usando il fraseggio. Inzaghi dovrà costruire anche una fase offensiva proattiva e non solo reattiva, come da sua storia. Fare quel salto di qualità che finora gli è mancato.
Non ho ancora parlato del modulo, considerando che Inzaghi nella carriera ne ha utilizzati diversi. È più legato al 4-3-3 ma non disdegna il 4-2-3-1 e il 3-5-2. Probabilmente rimarrà su una difesa a 4 per poi ruotare gli altri sulle singole partite. In conclusione Inzaghi davanti a sé ha un compito difficile che non è solo ridare un equilibrio alla squadra, tecnico e psicologico. Deve fare i conti con problemi di altro genere, questioni che toccano la sfera societaria. Iervolino, per la prima volta da quando è a Salerno, fa una scelta conservativa, lontana dai suoi propositi innovatori. Prende un allenatore difensivo per provare a cavarsela. Punta più sulla scossa psicologica che su quella tecnica. Da sola non basta, soprattutto considerando i tanti giocatori da inserire o da ricostruire. Risalire la china è più difficile di quel che sembra. Non basta “mettere i giocatori al proprio posto”.