Di Giuseppe Barbato
“Allora, la storia è questa: io vengo dalle fogne, questo lo so. Non ho istruzione… ma va bene così. Ho vissuto per le strade, sono venuto a contatto con la gente giusta e con la donna adatta non mi ferma più niente”
Così iniziò a parlare Tony Montana a Elvira Hancock, quando decise di dichiararsi a lei: raccontando chi era e da dove provenisse. Questa frase è perfettamente associabile a Franck Ribery e non solo per quel soprannome, Scarface, datogli dai tifosi del Galatasaray per la somiglianza con il personaggio interpretato da Al Pacino. Quello che colsero i tifosi turchi era un’attitudine umana e uno spigolo nell’anima del campione francese. Parlare di Ribery significa andare oltre le cicatrici sul volto e guardare l’effetto che hanno avuto su di lui: orgoglio, libertà e voglia di superare le avversità che hanno riguardato anche la sua carriera.
Escluso dalle giovanili del Lille, a causa di problemi comportamentali, riparte dalla terza serie francese dove ha costruito la propria gavetta. I primi passaggi nel calcio che conta li ha con la maglia del Metz, granata come la nostra, e poi al Galatasaray che sarà fondamentale per due motivi: il primo è nella rottura dopo quattro mesi, a causa di alcuni stipendi non pagati, che lo porterà a ottenere, non senza difficoltà, il passaggio all’Olympique Marsiglia che sarà decisivo; il secondo è privato ed è legato alla sua conversione all’Islam che matura proprio in quei mesi sul Bosforo. Il resto è arci-noto: gli anni trionfali al Bayern dove vincerà tutto, la recente esperienza alla Fiorentina e la carriera con la Francia, esplosa al Mondiale 2006 nella partita con la Spagna quando segna il suo primo gol in nazionale e, insieme a Zidane, imprime la svolta al cammino dei Blues.
Il rapporto con gli allenatori è schietto, a volte perfino conflittuale, e giganti della panchina come Heynckes e Guardiola hanno faticato, all’inizio, a inquadrarlo. Sembra conflittuale, restio alle indicazioni altrui, ma è un racconto di comodo. Ribery è consapevole di sé senza cadere nella superbia, è irriverente ma non scivola nella provocazione gratuita. E poi c’è un dettaglio: vuole che una percentuale di gesti e pensieri resti dentro di sé. Ribery per Ribery, senza rendere conto a nessuno, dentro e fuori il campo. Vuole mantenere quelle alterità che lo rendono unico: si è seduto al banchetto dei grandi del calcio, sfiorando anche il Pallone d’Oro (terzo nel 2013), senza perdere l’anima ribelle e quella sfrontatezza che nasce dalla strada: proprio lì dove sono nate alcune delle sue migliori giocate.
Il calciatore che arriverà a Salerno è un uomo di 38 anni che ha il meglio alle proprie spalle ma non vuole smettere. Dal punto di vista tattico non aspettiamoci il Ribery che domina la fascia, a tutta velocità, ma qualcosa di simile al giocatore visto a Firenze. Ribery fino a quel momento aveva la sua zolla nella fascia sinistra, con estemporanee presenze in altre zone del campo. Non ha più il passo per giocare a tutta fascia o fare l’esterno offensivo in un 4-4-2. Negli ultimi due anni ha avvicinato il proprio range d’azione alla porta, con due situazioni tattiche prevalenti. La prima è da centravanti mobile in grado con i suoi movimenti e “pause”, nel senso sudamericano del termine, di creare tempi e spazi per i compagni. L’altra è da seconda punta, accanto a un terminale dotato di tecnica e fisicità da servire in area o sfruttare per manovre corali. Quest’ultima soluzione si è vista soprattutto nell’ultima stagione, potendo contare sul talento di Dusan Vlahovic. In questo modo Ribery, pur con i suoi acciacchi, ha allungato la carriera e aumentato il proprio minutaggio: dai 1050’ di media negli ultimi cinque anni nel Bayern ai 1830’ dei due anni in viola. Inoltre ha ridotto sensibilmente le percentuali in zona gol (da 0,39 a 0,12 a partita) ma ha mantenuto buoni livelli per quanto riguarda gli assist (da 0,34 a 0.22 a partita) e la capacità di dettare l’ultimo passaggio (da 2,32 a 1.72 a partita).
Logica vorrebbe che sia Simy il suo partner ideale ma non è da sottovalutare Bonazzoli che, con la sua mobilità e capacità di giocare anche spalle alla porta, potrebbe garantire maggiori soluzioni senza pregiudicare gli equilibri difensivi tanto cari a Castori. Una suggestione emersa in queste ore riguarda il suo possibile utilizzo come trequartista, alle spalle della coppia gol. Si tratterebbe di una doppia forzatura, rispetto sia al sistema di gioco sia alla storia calcistica del francese. Ribery ha giocato da trequartista solo sedici partite sulle oltre 500 disputate e solo due nell’esperienza fiorentina: si tratta di due trasferte disastrose contro Lazio e Napoli, durante la gestione Prandelli. Nella prima si infortuna al ginocchio ed è costretto a uscire, nella seconda viene sostituito all’intervallo e la Fiorentina perderà 6-0.
Ribery può dare tanto alla Salernitana ma va messo nelle condizioni giuste. Il tifoso non si aspetti la giocata miracolosa, magari su calcio di punizione (sei gol in tutta la carriera), o che faccia tutto da solo. Va inserito correttamente nel sistema, senza cercare rivoluzioni tattiche, e al tempo stesso il sistema deve fare uno sforzo per rendere efficace anche la fase offensiva che, finora, è stata assente o quasi. Solo così Ribery sarà il grande giocatore al servizio della piccola squadra e non la figurina al servizio dei click.