C’era una volta il tifoso. Lo si scorgeva da lontano, sciarpa al collo e fedele radiolina tra le mani, seduto sugli spalti in cemento, sotto la pioggia o col sole cocente. C’era una volta il giornalista. Lo si apprezzava per la pacatezza, il tono garbato, la critica anche feroce ma elegante e sempre costruttiva. C’era una volta una squadra di calcio in maglia granata, rimasta “ostaggio” per un decennio di un gruppo imprenditoriale che aveva come unico obiettivo quello di speculare sulle spalle della storia (piccola piccola, ma pur sempre storia) di un popolo che amava quella maglia.

La premessa è d’obbligo quando si parla di passione. E la passione dei salernitani è la Salernitana. Detto ciò, di ritorno da San Siro e con 5 gol sul groppone, i 6200 fedelissimi che hanno accompagnato l’undici di Davide Nicola alla Scala del calcio avranno di certo l’umore sotto i tacchi. Ma non per la sconfitta contro la capolista, non per la tripletta di un diavolo scatenato sotto mentite spoglie di essere umano (Lautaro), non per l’ennesimo dover rimandare il sorriso pieno di una vittoria.

I 6200 fedelissimi, insieme a tutti quelli che sono rimasti a Salerno e che amano davvero la Salernitana stanno male perchè si assiste in queste ore ad un processo sommario, orchestrato per fortuna da una sparuta minoranza di salernitani (tifosi, giornalisti, ecc.) che – evidentemente orfani della vecchia gestione e privati ormai di ogni riferimento in società per le loro scorribande lessicali – amano versare sulla squadra di Nicola tonnellate di letame, così come sulla persona del direttore Sabatini e finanche sul neo presidente Iervolino. Un processo sommario che si basa essenzialmente sulla frustrazione generata dal dover ammettere che oggi Salerno vive e si emoziona di nuovo per la casacca granata come non accadeva da anni.

Che la squadra di Nicola debba ancora crescere dal punto di vista tattico e soprattutto fisico (per alcuni elementi) è evidente; che la squadra viva la pressione di dover fare risultato ad ogni costo è altrettanto lampante; che il tecnico granata possa apportare ulteriori correttivi sul campo è lecito attendersi. Ma da questo concetto di base ad arrivare alla ghigliottina mediatica nei confronti di chi ci ha letteralmente tolti dall’inferno, dal buco nero chiamato “radiazione” nel quale eravamo precipitati per precise e lampanti responsabilità da addebitare alla precedente proprietà e ha consentito ad una città intera di tornare a vivere “liberamente” la propria passione pallonara, ce ne vuole.

Non ci stiamo al gioco al massacro fatto da alcuni nei confronti del caso Ribery. Non ci stiamo ai veleni sputati addosso al direttore Sabatini, reo di aver portato a Salerno presunti “scarti” e “pensionati”. Non ci stiamo ad assistere a penose difese di persone che per fortuna non sono più a Salerno, dettate unicamente dall’isteria di non avere più “padrini” e “padroni” che coprono le spalle. A questa società – dal presidente al magazziniere – va la nostra più incondizionata riconoscenza per essere stata capace in 60 giorni di rivoluzionare l’ambiente (e molto altro ancora ci aspetta nel prossimo futuro). Al netto del verdetto finale di questo torneo (che al 93% – come ama sottolineare il direttore Sabatini – ci vedrà soccombere e tornare in B), la Salerno sportiva rimarrà grata in eterno a chi ha avuto il coraggio di spezzare le catene della nostra “prigionia”.

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