di Giuseppe Barbato

Paulo Sousa, in conferenza stampa, anche ieri ha dato il suo prospetto sulla partita, senza sottrarsi ai microfoni. Lo ha fatto concentrandosi sulle scelte del primo tempo e i cambi del secondo. Caricandosi dei pesi emotivi, conscio delle nubi che possono addensarsi sulla squadra, ed elogiando la squadra per le occasioni create. In questo modo la sua analisi è apparsa meno focalizzata sugli aspetti tattici; è mancata quella motivazione chiara della sconfitta contro il Lecce. È apparso fuori fuoco nelle sue dichiarazioni, anche per mascherare le difficoltà e non appesantire il quadro. La squadra ha sofferto troppo per larghi tratti del primo tempo e anche nella ripresa non ha costruito con continuità.

La Salernitana a Lecce si è presentata con due accorgimenti tattici: Cabral esterno destro, per costringere Gallo a un lavoro difensivo, e Łęgowski mediano accanto a Lassana. Nel primo tempo c’è stata una situazione paradossale: i due hanno giocato bene ma la squadra ha sofferto troppo, non avendo certezze. Paulo Sousa ha rimarcato i limiti difensivi di Cabral che non ha supportato a sufficienza. La critica al capoverdiano è troppo dura, considerando le sue caratteristiche. Il Lecce in quella zona di campo attaccava sempre con tre uomini: Banda e Gallo che si alternavano tra ampiezza e spazio interno, con Rafia pronto a contribuire. La Salernitana era costantemente in inferiorità: Lovato troppo solo e Lassana inconsistente. Cabral ha fatto quel che poteva e palla al piede è stato sempre pericoloso.

Dall’altro lato il lavoro del polacco, nonché la marcatura di Pirola su Almqvist, spingeva i salentini verso sinistra. La Salernitana però è mancata soprattutto in costruzione, incapace di uscire dalla metà campo. La costruzione 3+1 era deficitaria, con un palleggio lento che rendeva facile al Lecce l’indirizzo del pressing. Alternative pochissime, con i difensori inchiodati posizionalmente e la scelta di non passare a una costruzione 3+2 con sganciamenti di Candreva e Kastanos. Quando l’uomo di Tor de Cenci si abbassava automaticamente Łęgowski si alzava, creando un gioco dell’oca. Restava il lancio lungo su Botheim che ha dovuto lottare solo contro due. Le uniche volte che è stato servito sui piedi ha vinto il duello, senza avere compagni vicino. Solo Łęgowski, con delle risalite, e Ochoa in ampiezza hanno dato respiro alla manovra.

Eppure bastava pochissimo per mettere in difficoltà il Lecce. Si è visto appena è calato il pressing dei salentini, più efficace che asfissiante. La Salernitana ha avuto più spazi per giocare ma non aveva quella mobilità che rafforza il fraseggio di Paulo Sousa. Quella costruzione va sempre abbinata a dei movimenti che disarticolano la struttura posizionale avversaria. Non a caso l’occasione di Candreva nasce da un ottimo movimento senza palla di Łęgowski che obbliga Baschirotto a seguirlo, Candreva si butta sulla verticale libera e Kastanos lo serve. La stessa azione del primo gol a Roma, con un esito diverso. Nella ripresa Sousa sposta Cabral più avanti, contando sul lavoro difensivo di Kastanos. Il problema è nella lettura dell’avversaria perché il Lecce non è più obbligato al pressing ma si abbassa per trovare le ripartenze.

Si riproponeva lo schema del primo tempo: tanto possesso ma lontano dalla porta, addirittura nella propria metà campo, dirottato e sterilizzato sull’esterno. L’unica combinazione davvero efficace si aveva sul mezzo spazio tra terzino e centrale, con una giocata codificata tra esterno e trequartisti (o trequartista più Lassana): palla sullo spazio esterno e triangolo con un giocatore che attaccava lo spazio interno alle spalle, più palla a rimorchio. Questo schema, semplice ed efficace, nella ripresa si è visto troppo poco. Anche per demeriti di Paulo Sousa che ha puntato sulla staffetta Botheim-Ikwuenesi. Farli giocare insieme poteva essere molto utile perché il norvegese avrebbe avuto, finalmente, soluzioni che gli appartenevano e il nigeriano sapeva cosa fare. Invece è rimasto lì al centro, molto spaesato.

Serve qualità in mezzo, necessari gli ingressi di Martegani prima e Bohinen poi. Con Mazzocchi opaco e Bradaric stanco il pallone è circolato di più in mezzo ed è stato bravo il Lecce a indirizzare il pressing dirottandolo sull’argentino. Solo Bohinen ha dato quel guizzo in più, non tanto come qualità in sé ma come posizione perché hai avuto un calciatore che dava passaggi nell’ultimo terzo in campo e faceva inserimenti senza palla. La squadra è uscita da quello schema sterile in cui era ricaduta, eccezion fatta per quella codifica da cui è nata l’occasione di Cabral. Altro errore è stata la sostituzione di Pirola, tenendo un Gyomber poco coraggioso palla al piede. Mai una palla in verticale, mai una conduzione palla e se pressato palla in tribuna.

Numericamente nel complesso la Salernitana ha prodotto come il Lecce, va escluso dal conto il rigore di Strefezza. La differenza sta nel modo in cui la Salernitana ha creato quelle occasioni: dei lampi, frutto del lavoro del mister, ma sempre dei lampi in un insieme confuso. La Salernitana non ha creato più del Lecce, su questo Paulo Sousa sbaglia (di proposito per proteggere il gruppo), e non ha meritato il pari. Da questa brutta verità bisogna ripartire. Dirsi che la Salernitana ha comunque giocato può essere molto pericoloso. La Salernitana ha perso per suoi demeriti: non c’è arbitro che tenga, non c’errore di Cabral o Candreva che tenga. Il Lecce è stato superiore, per atteggiamento e lettura del match, e va applaudito. L’ambiente deve accettare la botta presa, calarsi l’elmetto e capire che c’è tanto da lavorare. La squadra lo farà, Salerno deve starle accanto.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui