E l’ansia assale. Inutile girarci intorno, si sta col fiato corto. Puoi fare il finto calmo, l’indifferente, il presunto glaciale, ma dentro brucia. Brucia il cuore, che palpita all’impazzata. A Salerno non siamo normali, evidentemente. Ci deve essere qualche “bug” nel nostro Dna collettivo che ci porta a tutto ciò. E’ la sindrome granata, quella della vigilia. La vigilia di un appuntamento con la Storia – s maiuscola d’ordinanza – che potrebbe passare una volta sola nella propria esistenza. Giusto allora sedersi e provare a rifiatare. Di energie ce ne sarà bisogno, non solo per i ragazzi di Nicola. Davanti a noi ci sono 180 minuti. Una sottile linea di confine che separa l’inferno dal paradiso. E noi lì in mezzo, a cavalcioni, in bilico sul filo della follia. Folli si, innamorati folli di quella maglia che ci strapazza l’anima ogni qualvolta la vediamo scendere in campo. Folli al punto di non ascoltare nulla e nessuno. Già perchè a noi le chiacchiere da tastiera, gli insulti, le polemiche interessano come lo zero assoluto. A noi che viviamo di quell’emozione, di quei gradoni di cemento, delle birre alzate al cielo con gli amici, delle urla politicamente scorrette e dei cori squarcia-tonsille, interessa solo una cosa: la Bersagliera. Contro Venezia e Cagliari saremo chiamati a “vestire” la maglia numero 12. Quella di sempre, quella del Vestuti e delle mille trasferte, quella dei giorni tristi e della baldoria. Quella che ci consente di andare in giro per l’Italia a testa alta. Al di là del risultato. Nessuno è come noi, non ve la prendete. A tutti lasciamo le coppe, gli scudetti, le bacheche piene di allori. Ci teniamo stretti la polvere, le lacrime e la fatica, il sudore dei campi arsi del Sud e il freddo delle lontane terre del Nord, gli sfottò – presi e restituiti – in ogni stadio, le bestemmie contro il mondo intero, i cori che vengono dallo stomaco. Noi siamo Salerno. E a questo appuntamento con la Storia ci vogliamo essere. Da protagonisti. Forza Salernitana!
Contro tutto e tutti, inseguendo la Storia…
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