di Giuseppe Barbato

Raccontiamo Salernitana-Inter come ha fatto la curva. Prendiamo dei dischi dei Pink Floyd, prendiamo i dischi citati nell’ennesimo capolavoro targato Gigi Pacifico: ‘Dark Side of the Moon’, ‘Wish you were here’ e ‘The Wall’. Con una piccola variante: non proprio quelle canzoni ma altre, tanto parliamo di album così pieni di perle che l’ispirazione è inevitabile. Anche la partita è ricca di spunti che il 4-0 finale non può e non deve cancellare. Come sempre, sguardo al campo perché solo lì si può capire il presente e ipotizzare il futuro.

Primo tempo: you re-arrange me ’till i’m sane

Il match inizia con la grande vivacità dell’Inter, che vuole subito incidere. Lo fa con uno schema preciso: Sanchez prova ad attirare Lovato fuori dalla linea, le mezzali stringono il campo per liberare degli 1 vs. 1 sui corridoi esterni e magari innescare Thuram sulla profondità. È uno schema preparato per sfruttare l’incapacità della Salernitana in quella zona di campo. Gli spazi si creano anche ma non funziona a dovere, per diverse ragioni endogene. Prova anche a sfruttare la superiorità sulle palle alte: il risultato è tante conclusioni ma poco pericolose, forse l’unica è il sinistro fuori di Sanchez. Poi inizia a giocare la Salernitana e diventa partita vera.

La Salernitana si presenta con il famoso 4-2-3-1. Il modulo sicuramente dà una mano alla squadra, soprattutto nella gestione difensiva posizionale perché permette di gestire alcune situazioni. Per esempio a destra dove Kastanos e Daniliuc lavorano bene le rotazioni su Acerbi che si sganciava molto, al punto da giocare esterno, e Carlos Augusto che provava a venire dentro il campo. Però il modulo non giustifica tutto: ciò che fa la differenza è il concetto di gioco. Lo dimostra la partita di Bohinen: tante volte si è detto che il norvegese ha bisogno di giocare con due che lo proteggono. Non è così: serve un gioco fatto di mobilità, fraseggio corto, gente che si muove vicino e oltre la linea di pressione, linea alta e distanze tra i reparti. Nel primo tempo la squadra era in 22 metri, con baricentro medio. Un ottimo dato.

In questo gioco Bohinen ha molti riferimenti e può crearne lui anche sganciandosi in avanti. Il resto lo fanno Łęgowski e Martegani. Il polacco sbaglia le prime giocate, poi prende le misure. In difesa è sempre puntuale sulla palla e sull’uomo, in attacco è un perfetto raccordo del gioco. Funge da terzo uomo quando l’Inter pressa a metà campo e nel secondo tempo si concede giocate da regista, con lanci e cambi gioco. Martegani è raffinato con la palla e soprattutto fa un grande lavoro difensivo. Il calo dell’Inter nel 1° tempo nasce proprio dall’argentino che lavora benissimo su Calhanoglu. Lo scherma per negare la circolazione palla da dietro. Il centrale o una delle mezzali serve a Inzaghi per rompere la struttura avversaria e andare in verticale. Il lavoro tra loro tre limita la costruzione di Inzaghi e permette alla Salernitana di guadagnare campo.

Secondo tempo: can you show me where it hurts?

Verrebbe voglia di chiederlo a Lautaro Martinez, con ieri sera giunto a nove gol contro i granata. Quasi un conto in sospeso, come se l’Arechi gli ricordasse l’Estadio Libertadores de America e lui giocasse ancora con la maglia del Racing. Il primo gol è una fotocopia di quanto visto al derby, con i due centrali (soprattutto Lovato) che sbagliano il tempo dell’anticipo e l’Inter ha le qualità per segnare subito. Facciamo un passiamo indietro e capiamo ‘dove fa male’? L’errore, per quanto grave, lo metti in conto. Uguale con il passaggio scriteriato di Ochoa a Bradaric. La Salernitana ha chiaramente delle fragilità mentali, non ha trovato l’episodio che innesca l’entusiasmo e l’energia del gruppo. Però c’è anche un aspetto tattico.

Attorno al 55° le due squadre accusano un calo fisico, comprensibile dopo una partita bella tirata. Servono cambi: qui sta la svolta del match. Inzaghi sceglie Asllani, Mkhitaryan e Lautaro. L’armeno si traveste da Calhanoglu, quindi perno del possesso nerazzurro anche senza essere servito, e l’albanese supporta. È l’opzione che conta, cioè creare l’incertezza all’avversario. Lautaro impone un cambio sulle marcature: su di lui va Gyomber e Lovato su Thuram. Questa cosa avrà effetti nefasti sulla Salernitana. Sousa ha due questioni davanti a sé: Cabral, difensivamente poco attivo, e lo schermo centrale. Il mister interviene solo sul secondo, il cambio Cabral-Trivante è già tardi, e malissimo. Il problema non è “togliere Martegani” ma non mettere energie fresche lì e cercare un raddoppio Kastanos-Dia facilmente aggirabile. La partita gira qui.

Wish you were here

Inevitabilmente quel ‘tu’ corrisponde alla vittoria che manca da troppo tempo. Ieri si è vista la Salernitana migliore della stagione, finalmente una squadra con delle idee di calcio chiare. Quelle che il tecnico ha trasmesso da febbraio in poi, con il 3-4-2-1, e le ha rimesse in circolo ieri con il 4-2-3-1. Non a caso ieri è tornato a parlare di calcio, ha ripreso quella cattedra lasciata vuota da Lecce a Empoli. Una squadra con i nuovi davvero protagonisti. L’anno scorso Paulo Sousa il primo tassello l’aveva messo contro il Monza, tra una settimana ritroviamo proprio i brianzoli. La stagione della Salernitana gira qui, affinché quello di ieri non sia un fuoco di paglia ma la redemption song granata. Perché ieri si è intravista un’altra luce che ha solo bisogno del prisma per scatenarsi.

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