di Giuseppe Barbato

Il pareggio tra Napoli e Salernitana racconta molte cose, su entrambe le squadre, relative alla singola partita e all’atteggiamento in campo di queste settimane. Gli azzurri, dopo mesi e mesi a ritmi straordinari, secondi solo al City, sono in leggero deficit. La Salernitana, di contro, è in grande spolvero, mentale prima che fisico, e l’ha dimostrato anche al Maradona. È mancato qualcosa anche ieri al Napoli per vincere ma ha giocato al meglio delle sue possibilità, contro una Salernitana che non ha regalato nulla.

Affrontare questo Napoli è tremendo, giocarle a viso aperto significa consegnarsi all’avversario. Può farlo il Manchester City, può farlo il Real Madrid. Non può farlo nessun altro, figuriamoci una Salernitana oggettivamente inferiore. La Salernitana ha giocato il primo tempo a 35 metri dalla porta di Ochoa, racchiusa in 20 metri: un blocco granitico, impossibile da scalfire. Però ci sono modi e modi di difendere, strategie diverse da adottare al netto del blocco basso. La Salernitana ha intasato le corsie esterne, non ha dato mai una situazione sulle catene laterali e l’ha fatto con una strategia interessante. Candreva e Kastanos andavano a fare i raddoppi sugli esterni, in questo modo i braccetti hanno avuto un ruolo particolare.

Pirola e Daniliuc tenevano la zona di campo con due obiettivi: 1) non lasciare quello spazio per inserimenti alle spalle; 2) quando la rispettiva mezzala riceveva nel mezzo spazio alzava il pressing e subito scattava la scalata difensiva, solo allora uscivano. Con Osimhen marcato da Gyomber c’erano spazi centrali da giocare per il Napoli che sono stati poco esplorati; gli unici a farlo con efficacia sono stati Lobotka e Kim. Ottima la partita del coreano che si è sempre sganciato bene e cercato imbucate interessanti. Dopo i primi 20° arrembanti la Salernitana ha provato a uscire ma è stata frenetica, con tanti piccoli errori. Le cose migliori si sono viste con Lassana, sia in conduzione palla sia nel cercare spazi tra le linee. Bravi Daniliuc e Pirola che l’hanno servito con puntualità.

La Salernitana targata Paulo Sousa ha un punto debole: la gestione sulle palle ferme. Difende a uomo sui piazzati però avendo tanti marcatori puri le avversarie giocano sui blocchi per creare un varco libero. O con un inserimento da dietro o disturbando l’azione di un marcatore. Già nel primo tempo, con l’occasione di Osimhen, si era vista questa sbavatura. Dovendo seguire tanti uomini degli spazi si creano e c’è spesso quell’attimo di ritardo dei difensori. Sul gol di Olivera Daniliuc e Dia capiscono il pericolo ma non hanno il tempo per intervenire, proprio per merito del Napoli sui blocchi. L’inizio del secondo tempo ha un’andatura simile al primo, non c’è una situazione specifica da segnalare.

Dopo il gol cambia la partita, qui vengono fuori i meriti della Salernitana e i demeriti del Napoli. Sousa a inizio ripresa, per risalire campo, inserisce Botheim che dà una prima scossa alla costruzione. Dopo il gol si gioca il tutto per tutto, più che con Piątek con i cambi sulle fasce. Inserisce Sambia per uno stanco Mazzocchi ma lo dirotta a sinistra, spostando Kastanos a esterno destro. In questo modo mantiene i giocatori di spinta e accetta il rischio di ripartenze ed è proprio dall’esterno che trova spazi da giocare. Olivera e Di Lorenzo vanno in difficoltà e Spalletti aspetta troppo per rimediare. Molto si è detto sul cambio Juan Jesus-Olivera. In realtà non c’è stato il tempo per incidere davvero. Inoltre sul gol l’errore grave è di Kvaratskhelia che non stringe su Dia.

Non c’è solo questo: il Napoli dopo il gol non ha più costruito bene. Anche in vantaggio non era fluido palla al piede. Ha avuto quattro occasioni però casuali, non c’è stata un’azione pensata o una ripartenza ben congegnata. C’è stata la giocata di Elmas, ci sono state le chance di Kvara nate da palloni sporchi e infine l’occasione finale di Simeone nata da un batti e ribatti in area. La chance del Cholito è l’immagine del Napoli di fine partita: in pochi hanno capito davvero cos’è successo, Simeone è stato vicinissimo al gol scudetto e Ochoa gliel’ha negato con una parata eccezionale per tecnica e tempismo. I giocatori volevano un gol ma forse non sapevano davvero come arrivarci. Si sono riviste le stesse scene della partita col Milan, la stessa ansia. Il gol di Olivera ha sbloccato la Salernitana che a quel punto non aveva più nulla da perdere.

Il Napoli, che già aveva un macigno enorme su di sé, non è più riuscita a scrollarsi di dosso l’attesa. Non è una colpa: la definitiva sicurezza dei propri mezzi arriverà con uno scudetto che ha meritato anche ieri, perché le altre anche in questo turno di campionato hanno fatto peggio. Roma e Milan hanno offerto uno spettacolo desolante, la Lazio è stata surclassata dall’Inter, la Juve a Bologna ha giochicchiato. Il Napoli ha dato il massimo in una situazione emotiva devastante, ha pagato dazio perché dall’altra parte c’era una Salernitana che non ha messo solo il cuore. Aveva le idee chiare e la leggerezza per esprimerle, quella leggerezza che aveva il pallone scagliato da Dia in fondo alla rete. E l’ha fatto solo per sé, non per il resto della Serie A. Questo pari è solo della Salernitana, della sua gente e per il suo scudetto: la salvezza.

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