di Giuseppe Barbato

Mattone su mattone: così si ricostruisce una casa crollata. Almeno nel senso metaforico del termine. La Salernitana ballava da tempo, scossa dalle sue difficoltà tecnico-tattiche. La disfatta di Bergamo e i tre giorni successivi hanno distrutto tutto, lasciando scorie e macerie in quantità. Prima di tutto sulla squadra che ha perso anche l’ultimo riferimento: il pubblico, fino ad allora inesauribile. Il clima peggiore per giungere al derby contro il Napoli. Non solo per il valore emotivo della sfida, per quanto i punti in palio siano sempre tre come spiegava Zeman. La paura di un’altra imbarcata era palpabile, contro una squadra capace di infliggerle a squadre come Liverpool, Ajax e Juventus. Figuriamoci a una Salernitana così fragile.

Davide Nicola, il nuovo, doveva fare i conti con Davide Nicola, il vecchio. Prima di tutto dentro di sé e poi leggendo nell’anima di un gruppo che chiedeva a lui riferimenti. La partita tattica di ieri è stata la risposta a queste sollecitazioni. Tanti passi indietro nel nome di quel mattone su cui costruire la ripartenza.

La Salernitana vista ieri ha scarnificato la fase di possesso per concentrarsi quasi per intero su quella di non possesso. Ciò non è dipeso dal possesso palla, lasciato quasi completamente al Napoli, quanto nella capacità di pressare e ripartire, molto limitata ma non nulla. Difensivamente la squadra ha interpretato tre assetti posizionali: 4-5-1, 5-3-2 e 4-3-3. Il primo è stato più prevalente, col solo Piątek a lottare contro Rrahmani e Kim, e gli altri a fasi alterne. Tutti hanno un elemento in comune: avere tre uomini a centrocampo, così da affrontare uomo su uomo il centrocampo azzurro. Quel pressing e schermo tipico di Nicola è stato arretrato e spostato sulla mediana. Piątek scivolava a turno sui due centrali e nel frattempo schermava Lobotka. Quando la circolazione palla del Napoli era più veloce lo slovacco era preso da Nicolussi Caviglia.

La scelta, tatticamente intelligente, ha funzionato perché il Napoli perdeva gli sbocchi centrali e il mix di blocco basso e fuorigioco non dava a Osimhen spazi in profondità. Lobotka ha cercato di svariare, anche arretrando sulla linea dei difensori, ma Spalletti lo richiamava invitandolo a stare nella sua zona. Perché? Spalletti voleva che fossero le due ali, Lozano ed Elmas, a creare gli spazi andando dentro il campo e i due terzini, Di Lorenzo e Mario Rui, a costruire l’azione o viceversa. La cosa è stata evidente nell’azione del primo gol ma si è vista in tutta la partita, con ben 150 palloni toccati dal portoghese.

Nicola aveva lavorato anche su quest’aspetto prevedendo un doppio lavoro sugli esterni. Candreva e Dia erano chiamati a fare i raddoppi costantemente e i due terzini, Daniliuc e Bradaric, a difendere tenendo la posizione. Sulla sinistra Bradaric ha avuto bisogno di qualche minuto per prendere le misure, sulla destra la squadra soffriva di più perché Mario Rui era costantemente nel campo e Anguissa era più mobile di Zielinski dall’altro lato. Con Lovato in marcatura su Osimhen era lì che il Napoli poteva trovare gli spazi. I due gol nascono proprio da qui: da Daniliuc che non legge i movimenti del Napoli, perde la zona senza trovare l’anticipo, ed è Mario Rui che viene dentro e serve i compagni nello spazio libero.

Il Napoli ha punito nelle prime due occasioni utili, da grande squadra qual è, dopo 45 minuti di ottima applicazione. Dal punto di vista delle posizioni la Salernitana era ben messa in campo, occupava bene stando cortissima e tenendo bene le distanze tra i singoli giocatori. Il baricentro molto basso ha favorito tutto questo ma ritrovare tutto questo è decisivo. La Salernitana delle ultime settimane non aveva queste posizioni. Stessa cosa nelle rari fasi di possesso e di riaggressione. 3-4 giocatori vicini e tocchi sul medio-breve per costruire l’azione, soprattutto con Candreva, nonché gabbie di pressione che garantivano anche la gestione della palla scoperta. Sono stati brevi lampi della Salernitana di ieri ma ci sono stati.

Nel secondo tempo è mancato qualcosa sul piano dell’intraprendenza. Il Napoli ne approfitta abbassando Lobotka e passando a un 343, gestendo il possesso e la gara come sottolineato da Spalletti in sala stampa. Ha continuato comunque ad attaccare con gli schemi già descritti, avendo però due sole occasioni: con Mario Rui, tiro di fuori di poco, e Osimhen, grande parata di Ochoa. Entrambe le situazioni hanno mostrato le difficoltà, in questo momento, di Lassana. Di contro si sono viste due ottime partite: Pirola e Nicolussi Caviglia. Il centrale scuola Inter ha primeggiato per recuperi, contrasti e ha dato qualità palla al piede. HNC, spostato in mezzo dopo il fallito esperimento di Lassana mediano a Bergamo, non è stato sempre preciso nelle geometrie ma è stato sempre presente e vicino all’azione. In difesa ha svolto il suo compito e aiutato sempre i compagni. Insomma, è entrato nel vivo del gioco.

Ultima nota: gli schemi da corner. Perché la Salernitana adotta delle soluzioni così contorte? La parola chiave è ‘castello difensivo’. A prescindere dalle marcature avversarie, a uomo o a zona, ogni squadra ha una struttura ben definita. Il corner corto serve a spostare l’attenzione sul pallone, attirando il pressing avversario e quindi rompere il castello. Solo a quel punto la palla viene crossata in area, giocando su quell’attimo di disequilibrio. Quando non funziona l’effetto è straniante, quando funziona si creano grandi pericoli. Il gol sfiorato da Pirola è la dimostrazione degli effetti positivi di questa soluzione di gioco.

Concludo dicendo che la Salernitana non sarà sempre questa. Ieri aveva bisogno di essere questo: anche solo per ritrovare i piedi sul campo e scrollarsi il dolore di dosso. Aveva bisogno di fare bene qualcosa, qualsiasi cosa. Recuperare quel minimo di autostima e fiducia nei propri mezzi. Da qui bisogna ripartire direzione Lecce. Prendendo quello che ha funzionato e metterlo in campo, aggiungendo un altro pezzettino e ritrovando tutto il buono che si ha dentro. Mattone su mattone.

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