Un Claudio Lotito a 360°, dal suo ingresso nel mondo del calcio alla gestione della Lazio. Il patron biancoceleste si è raccontato così, durante la ‘conviviale Interclub’, promossa dal Club Rotary Milano Porta Venezia, dal tema “Protagonisti nel paese” svoltasi ieri sera al Teatro Filodrammatici di Milano. Le sue dichiarazioni – raccolte dal sito di approfondimento economico calcioefinanza.it – raccontano uno spaccato del mondo imprenditoriale legato al calcio. Nessun riferimento alla sua “seconda” proprietà nel mondo professionistico, ossia la Salernitana.
Il mio segreto? Amo le sfide impossibili
«Il mio segreto è che mi sono sempre dato un codice di comportamento, ho portato nella realtà sportiva mentalità e organizzazione. Non sono tifoso presidente ma presidente tifoso, se sei tifoso rischi di essere obnubilato dalle situazioni, non vivi con raziocinio certi momenti. Se uno fa tifoso presidente si fa trasportare in logica di concorrenza in cui il presupposto è sbagliato. Quando sono entrato nel club la Lazio aveva 84 di ricavi, ne perdeva 86,5 e aveva 550 milioni di debiti. Non era semplice, a me piacciono le sfide e non la consideravo impossibile».
Pago puntualmente le tasse, l’unico in Italia a farlo in anticipo
«In questa società ho impiegato risorse personale, ho speso 75 milioni di euro per prendere un club che ne aveva 550 di debiti. Non è semplice, a me piacciono sfide e non la consideravo impossibile. Quando sono entrato la Lazio aveva 150 milioni di tasse non pagate e ho fatto un accordo con l’agenzia delle entrate grazie ad una legge che esisteva dal 2002, io l’ho fatta applicare nel 2004. E rivendico con orgoglio di aver dato questo contributo allo stato, se fosse fallita la società nessuno avrebbe pagato. Tante società sono state prese senza pagare perché fallite, io mi sono caricato i debiti pagando i 150 milioni in 23 anni. E con orgoglio rivendico anche il fatto di pagare puntualmente, sono l’unico in Italia a pagare in anticipo: la scadenza era l’1 aprile, io ho pagato il 31 gennaio».
Punto tutto sulla gestione sana della società
«All’inizio mi sono scontrato con abitudini e anche norme calcistiche difficili, club non erano sottoposti a logiche gestionali. Spesso la situazione era del tipo “patron uguale cojon che mette soldon”, tutti pensavano che tanto c’era pantalone che paga. Poi non a caso sono sorti problemi, fallimenti. Bisogna fare le cose in modo tale che uno costruisca una società fondata su cemento armato, non sulla sabbia. Io sono il proprietario della società ma io coltivo passioni di tutti, ho l’obbligo di preservare e tramandare la passione. Inutile fare il canto della cicala, parto a 100 e poi la società sparisce. Dobbiamo evitarlo. Ho inserito norme per far sì che le societa venissero gestite in maniera sana».
Io non prendo un euro come presidente della Lazio
«Io sono un presidente che non percepisce un euro, al contrario di qualche mio collega. Uso la logica dell’imprenditore, non del prenditore. Per migliorare hai due componenti, costi e ricavi, ovverosia non spendere quello che non hai e provare ad aumentare la capacità di spesa. Io all’inizio venivo maltrattato da tutti, mi ricordo frasi tipo “Lotirchio caccia li soldi”, c’era questo assioma per cui più spendi e più vinci. Il principio è semplice, penso che il denaro sia fondamentale ma contano le idee. La Juve fattura 600 milioni, la Lazio 120 ma gli abbiamo tolto due supercoppe. Le motivazioni fanno la differenza, quello che conta è anche la fidelizzazione, la gente deve credere nel progetto. In un contesto di questo genere serve programmare e creare attaccamento nella squadra, non solo con il denaro. Io non prendo un euro, l’esempio è cosa più importante. Nel mio primo CdA entrai e chiesi i compensi degli amministratori. Mi dissero ad esempio che il presidente prendeva 500mila euro, l’ad 1 milione, il vicepresidente 400mila, ed era una società a rischio fallimento. Dissi chiaramente “Il culo chi lo mette qui?”. Sono stato molto duro, ho costretto tutti a tagliare i costi. La Lazio, se continuerà ad essere gestita come oggi, continuerà a camminare per sempre. L’anno scorso ha realizzato 38 milioni di utile, è stata una delle societa nell’ultimo anno con migliore prestazione del titolo in borsa, un patrimonio immobiliare di 200 milioni, un parco giocatori da 600 milioni. Ha prospettiva, è una macchina che va perfezionata continuamente, ma che può camminare da sola».
In Italia non s’investe negli stadi
«Lo stadio di proprietà? Io voglio lo stadio, oggi tutti parlano di stadi ma io sono stato il primo a presentare al Comune di Roma il progetto per uno stadio polifunzionale, aperto 24 ore al giorno. Perché lo stadio da solo non rende quanto si pensa, rende solo se c’è dell’altro, con negozi ecc. Si guadagna con ricavi indiretti, con gli sponsor, le royalty sulle vendite dei negozi, poi ovviamente c’è la parte di ricavi da stadio ma non basta. Anche la Juventus ha fatto prima lo stadio poi ha aperto intorno attività imprenditoriali perché non era sufficiente. Siamo uno dei pochi paesi che non ha fatto alcuna politica di investimento sugli stadi, quando presentammo la norma venne deturpata dalla politica».