di Giuseppe Barbato

Ha senso parlare di analisi tattica quando la Salernitana si presenta disposta nel modo in cui ha disputato il primo tempo? Non è facile. Si è vissuto un deja-vu dell’anno scorso, della penultima partita della gestione Nicola: Salernitana-Juventus, allora parlammo di abdicazione rispetto alle note incoraggianti di Lecce. Forse oggi è stato ancora peggio perché Paulo Sousa non solo ha messo la retromarcia ma ha riportato la squadra esattamente dov’era contro il Monza un anno fa. Schieramento a specchio, pressing altissimo sull’uomo sperando di schiacciarli nella metà campo avversaria. Cioè esattamente quello che vuole il Monza e l’ha dimostrato ancora una volta. Attenzione, i brianzoli si sono affrontare così. Lo ha dimostrato l’Atalanta qualche giornata fa. Ma devi avere quella cifra tecnica e atletica.

La Salernitana non ce l’ha e quindi organizza una serie di marcature più o fisse a tutto campo, soprattutto con i difensori che inseguono ovunque Colpani, Vignato e Colombo. Gioco facile per la squadra di Palladino attirare i centrali granata, svuotare una zona di campo che nessuno coprirà, preventive inesistenti, creare un triangolo per poi attaccare la palla scoperta alle spalle. Gli altri, a quel punto della situazione, sono obbligati a scappare indietro fino al limite dell’area. Producendo scelte tragiche come quella di Pirola che, tra Colpani col pallone e Ciurria in sovrapposizione, sceglie il secondo lasciando sgombra la zona centrale. Entrambi i gol del primo nascono da un rapporto sciagurato col pallone. Palloni persi con troppa facilità da Mazzocchi e Cabral.

Il vero dato è questo: nella prima frazione non ha mai giocato col pallone, eccezion fatta per le corse di Łęgowski e uno scambio Bohinen-Kastanos che ha portato Candreva al tiro. Solo il 34% di possesso palla, per una squadra che ha tremendamente bisogno del pallone, sono un abominio. Lasciare tutto il resto a una squadra che vive di questo e per un lancio lungo o un cambio gioco fa 80-100 passaggi significa sconfitta certa. In una situazione del genere Dia è un fantasma, subisce il trattamento subito da Botheim contro Lecce e Torino. Perché poi è questo il punto: puoi cambiare gli uomini ma se l’organizzazione di gioco è deficitaria pure il tuo uomo migliore non sa cosa fare.

Sulla questione dei riferimenti offensivi c’è l’unica chiave tattica interessante del match. Chiave valida per entrambe le squadre. Il Monza, con Colombo, forse ha fatto quel passaggio di cui aveva bisogno. La struttura di gioco, in entrambe le fasi, è molto chiara e l’unica novità si vede nel passaggio da Rovella a Gagliardini per caratteristiche diverse dei due. Però non cambia molto. Ciò che mancava alla squadra era un tipo di lavoro sulla profondità, poteva averlo con Caprari e Mota Carvalho. Colombo è potenzialmente in grado di fare entrambe le cose: la prima punta pura, alla Petagna, e quella mobilità di movimenti che interagisce bene con la reattività dei tanti compagni di reparto nel Monza. Tutti così, compreso Papu Gomez.

La Salernitana ha bisogno della stessa cosa e non a caso mette Trivante Stewart, con un grosso errore: non lo schiera al 45°, lo schiera al 60°. Quel quarto d’ora in più forse avrebbe fatto la differenza. A Trivante servono dieci minuti, per giunta molto spezzettati, per prendere le misure ai centrali del Monza. Cosa può fare con Pablo Marì, cosa con Caldirola e così via. La sua fisicità, unita alla lettura dell’avversario, complica i piani del Monza. Dia si può liberare dai fardelli, vede spazi che prima non c’erano e Candreva può accompagnare. Non parliamo di azioni difficili: basta una sovrapposizione, qualche passaggio nella 3/4 avversaria, un pallone recuperato più basso schermando la costruzione avversaria. Troppo poco, unito alle parate di Di Gregorio, per riaprire la gara. Basteranno per ripartire? Intanto bisogna capire da chi si ripartirà. E non solo nel reparto allenatore.

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