di Giuseppe Barbato

8 febbraio 1984, Triestina-Udinese. Un derby, una partita sulla carta ad alta tensione. Nei fatti quel derby si svolse tranquillamente sul campo e sugli spalti, a parte qualche scaramuccia di poco conto. Fino a un istante preciso. La polizia sorveglia la zona circostante lo stadio Grezar e osserva alcuni tifosi della Triestina. Tra loro c’è Stefano Furlan: ventenne, capelli ricci e frequenta da qualche tempo la curva locale. Stefano non è coinvolto negli incidenti, stava solo tornando alla sua macchina per andare a casa ma non farà in tempo. Viene aggredito a morte da alcuni poliziotti, in particolare uno che lo colpirà alla testa e gli provocherà le ferite più gravi. Stefano Furlan morirà il 1° marzo, dopo giorni di agonia. Quel poliziotto verrà condannato a un anno di reclusione e poi continuerà a prestare servizio a Trieste.

Oggi sono quarant’anni dall’agguato che poi costerà la vita a Stefano Furlan, una tragedia assurda frutto della prevaricazione delle forze dell’ordine e ancora oggi monito per vicende analoghe. Negli anni tifoserie di tutta Italia hanno speso tempo, striscioni, riflessioni, incontri per ricordare che quello che è capitato a lui, come a Celestino Colombi nel 1993, è sempre in agguato. Il ricordo è vivo soprattutto a Trieste, dov’è stata inaugurata una mostra per ricordare quei giorni, e anche in altre città. Un ricordo lo hanno dedicato anche i gruppi della Curva Sud Siberiano che hanno esposto uno striscione all’esterno dello Stadio Arechi: “08-02-1984: Stefano Furlan presente”.

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